(Adnkronos) – In Veneto è stato diagnosticato un caso autoctono di malaria. Ma cos’è? E come si trasmette? Si tratta di una malattia infettiva causata da un protozoo, parassita del genere Plasmodium, che si trasmette all’uomo attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles. Le zanzare infette sono dette “vettori della malaria” e pungono principalmente tra il tramonto e l’alba. Occasionalmente, la trasmissione avviene per trasfusione di sangue, trapianto di organi, condivisione di aghi o verticalmente dalla madre al feto si legge sul sito del ministero della Salute.
La malaria è uno dei principali problemi di salute pubblica mondiale, causando 350-500 milioni di infezioni in tutto il mondo e circa 1 milione di morti all’anno. I neonati, i bambini sotto i 5 anni, le donne in gravidanza, i viaggiatori e le persone affette da HIV o AIDS sono a maggior rischio di infezione grave.
La trasmissione richiede un ospite intermedio, la zanzara anofele, che si trova in tutto il mondo. Dopo l’esposizione (una puntura di zanzara infetta) il periodo di incubazione varia nella maggior parte dei casi da una a quattro settimane. A seconda della specie di Plasmodium coinvolta sono possibili periodi di incubazione molto più lunghi. La malaria non si diffonde da persona a persona. L’intensità della trasmissione dipende da fattori connessi con il parassita, con il vettore, con l’ospite umano e con l’ambiente.
In Italia è scomparsa a partire dagli anni ’50 e i casi di malattia che si verificano, comunque, ogni anno nel nostro Paese sono legati principalmente ai turisti che rientrano da Paesi interessati dalla malaria e all’immigrazione da tali Paesi o al trasporto involontario di zanzare infette da aree endemiche, si legge ancora sul sito del ministero.
La malaria umana è una malattia che può avere esito fatale, sottolinea l’Istituto superiore di Sanità. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce la malaria umana una malattia seria, prevenibile e curabile se diagnosticata tempestivamente e trattata con farmaci adeguati.
I sintomi, a seconda della specie di plasmodio, compaiono dopo 7, 15 o più giorni dalla puntura della zanzara infetta. Sono di varia natura, ma solitamente consistono in febbre, spesso molto alta, mal di testa, vomito, diarrea, sudorazioni e brividi scuotenti, tutti sintomi, almeno inizialmente, comuni a una qualsiasi sindrome influenzale o ad altre infezioni. La patogenicità dei plasmodi è legata alla loro capacità di invadere e distruggere i globuli rossi a cui segue la sintomatologia principale della malattia, rappresentata da accessi febbrili ricorrenti e anemia.
Le specie di plasmodi responsabili della malaria umana sono: Plasmodium falciparum; P. vivax; P. ovale; P. malariae e P. knowlesi. La malaria da P. falciparum rappresenta la forma più grave in termini di morbosità e mortalità. Raggiunge parassitemie molto elevate e oltre a causare una forte anemia può arrivare a ostruire i capillari del cervello (malaria cerebrale) o di altri organi vitali (reni, milza, fegato). Se non trattata tempestivamente può evolvere in malattia grave e invalidante, e/o portare alla morte. Le forme di malaria dovute alle altre specie di plasmodio sono in genere meno gravi.
La particolarità di P. vivax e P. ovale è che possono dare origine a recidive per via di forme che rimangono silenti nel fegato (ipnozoiti) e che si possono riattivare dopo mesi dall’attacco primario. In questi ultimi anni sono state descritte forme gravi di malaria da infezioni di P. vivax, caratterizzate da edema polmonare, sindrome da distress respiratorio acuto (Ards) e disfunzione multiorgano. P. malariae invece, può dare recrudescenze, anche a distanza di decenni. Forme del parassita possono rimanere nel circolo ematico a livello subclinico in modo da evadere il sistema immunitario e riattivarsi causando un nuovo accesso malarico quando le difese si dovessero abbassare per motivazioni diverse.
P. knowlesi, che presenta il ciclo schizogonico ematico di 24 ore, causa in genere una forma di malaria non complicata, sensibile al trattamento con clorochina. Nella letteratura recente tuttavia sono state descritte diverse forme gravi dovute a questo parassita, di cui 6 con esito fatale. P. malariae invece, può dare recrudescenze, anche a distanza di decenni. Forme del parassita possono rimanere nel circolo ematico a livello subclinico in modo da evadere il sistema immunitario e riattivarsi causando un nuovo accesso malarico quando le difese si dovessero abbassare per motivazioni diverse.
Una diagnosi accurata e precoce è una delle chiavi per gestire in modo efficace questa malattia. La pratica diagnostica si basa inizialmente su l’approccio clinico, che con la caratterizzazione dei sintomi indirizza verso un sospetto caso di malaria, e successivamente quello volto a identificare la specie di plasmodio, utilizzando più comunemente la diagnosi microscopica, con eventuale supporto di test rapidi immuno-cromatografici e metodiche molecolari (Pcr, Real Time Pcr, Lamp). Attualmente, il miglior trattamento disponibile, in particolare per la malaria da P. falciparum, è rappresentato dalla terapia combinata a base di derivati dell’artemisinina (ACT). L’Oms raccomanda di confermare con la diagnosi di laboratorio tutti i casi di sospetta malaria prima di somministrare il trattamento terapeutico.
Dopo oltre 30 anni d’intensa ricerca, è stato messo a punto il primo vaccino contro la malaria, l’RTS,S/AS01, che ha mostrato una parziale protezione contro la malaria da P. falciparum nei bambini. In studi clinici su larga scala tra i bambini di 5-17 mesi che hanno ricevuto 4 dosi, il vaccino è riuscito a prevenire circa 4 casi su 10 di malaria per un periodo di 4 anni. A causa però di questa protezione solo parziale, l’RTS,S/AS01 potrà affiancare gli altri metodi di lotta contro la malaria ma non sostituirli. Ad aprile 2019 è partito un programma di vaccinazione pilota, coordinato dall’Oms, per l’introduzione graduale del vaccino RTS,S/AS01 nel programma vaccinale di routine di 3 Paesi dell’Africa sub-sahariana: Malawi, Ghana e Kenya. Questo studio pilota, che prevede di vaccinare fino a 360.000 bambini per anno nei tre Paesi, affronterà diverse questioni ancora aperte, quali valutare l’efficacia del vaccino in contesti reali; comprendere il modo migliore per fornire le quattro dosi richieste; il ruolo potenziale del vaccino nel ridurre le morti infantili; la sua sicurezza nell’uso di routine.