L’attore, produttore e doppiatore romano in Québec per la première del film “L’ultima notte di Amore”. Nelle sale dal 22 marzo con il titolo “Dernière Nuit à Milan”
MONTRÉAL – Pierfrancesco Favino è uno dei più grandi attori italiani della nostra epoca. Nato e cresciuto a Roma da genitori pugliesi, si diploma presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Tra teatro, TV, cinema e Netflix, è sempre molto presente su tutte le scene, ma con prodotti di qualità e personaggi di alto calibro. L’approdo sul grande schermo avviene nel 1995 con il film Pugili di Lino Capolicchio. Nel 2001 è fra i protagonisti de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, di notevole successo. Affermatosi in via definitiva dopo aver vestito i panni di Gino Bartali nell’omonima miniserie televisiva, da allora Favino ha recitato in innumerevoli opere italiane e anche in vari film hollywoodiani. Ha vinto ben tre David di Donatello: come Miglior attore non protagonista (in Romanzo criminale per il ruolo del Libanese nel 2006 e in Romanzo di una strage nel 2012) e come Miglior attore protagonista ne Il traditore per il ruolo del mafioso e collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, nel 2020. E poi cinque Nastro d’argento, due Globo d’oro, tre Ciak d’oro, due Roma Fiction Fest e una Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia. Apprezzatissima da critica e pubblico la sua interpretazione di Bettino Craxi nel film Hammamet di Gianni Amelio. Nel 2023 stupisce tutti di nuovo in Adagio, affianco ad Adriano Giannini, Toni Servillo e Valerio Mastandrea, e poi con il ruolo della medaglia d’oro al valor militare Salvatore Todaro nel film Comandante, e poi con il thriller “L’ultima notte di Amore” di Andrea Di Stefano, presentato alla Berlinale, in Francia, negli Stati Uniti, e ora anche a Montréal, nelle sale dal 22 marzo con il titolo “Dernière Nuit à Milan”. L’arco temporale di questo film è dalla sera all’alba, l’ultima nottata di ‘onorato servizio nella Polizia di Stato’, dopo 35 anni, di Franco Amore, prima di andare in pensione. Una notte che cambierà tutto. In occasione della presentazione all’Istituto Italiano di Cultura di Montréal e al Cinéma du Musée, il Cittadino Canadese lo ha incontrato. Non solo Netflix, fortunatamente ci portate ancora nelle sale al cinema… “Qui non c’è niente di digitale, le esplosioni sono vere, è tutto girato sempre di notte e completamente in pellicola, anche le riprese dall’alto sono fatte con la cinepresa in elicottero e non con il drone. La profondità dell’immagine merita il grande schermo, anche per la circolarità del suono molto più avvolgente. Difficile portare in sala le persone per film che tanto un anno dopo possono vedere comodamente a casa se esce in piattaforma, ma il prodotto cinematografico va un po’ protetto, e c’è una tendenza anche del pubblico a voler tornare all’esperienza del cinema, senza demonizzare lo streaming”. Fino qui in Canada… “Ho girato un film a Vancouver, dove tra l’altro, per bizzarria, studia mia figlia… e sono stato spesso al Toronto International Film Festival, ma è la mia prima volta a Montréal!”. Come definisci questo film? “Un polar piuttosto teso, un po’ poliziesco ma con meno azione, uno ‘spaghetti-noir’ come lo ha definito il regista. In Italia si fanno pochi film così. Oppure, di solito, il protagonista del tipico polar è un super-uomo che sai che ce la fa… mentre qui tu non sai mai, neanche fino alla fine, se quest’uomo ‘normale’, un anti-eroe, ce la farà”. Protagonista, fin dall’apertura, anche questa Milano difficile, con la mafia cinese che si fa largo tra le crepe della polizia corruttibile, i calabresi in mezzo… ma cosa ci dici del tuo personaggio Franco Amore? “È un personaggio inventato di una storia plausibilissima che rappresenta la realtà che abbiamo studiato, di tante persone del mestiere con cui abbiamo parlato. Un rappresentante delle forze dell’ordine in media prende 1300 euro al mese, al massimo 1800 a fine carriera, e a lavoro devi essere lucido, riposato, reattivo, devi dormire, altri secondi lavori sono impossibili. Gli straordinari sono pagati 3 euro in più. E vivere a Milano oggi è come vivere a New York. La tentazione di fare un secondo lavoro illecito e dai facili guadagni, come quello che portiamo qui in scena, esiste. Franco e Viviana [sua moglie] raccontano a loro stessi di essere due brave persone, ma lo sono fino ad un certo punto, sono in una zona grigia. Franco parla della sua onestissima carriera, si crede una persona specchiata, ma se la racconta. Poi decide lui cosa è corruzione e cosa no, cosa si perdona da solo, cosa si merita”. Infatti, paradossalmente, proprio mentre commette operazioni illecite, in macchina, Franco scrive il suo sentito discorso di fine carriera, pieno di retorica sull’onore e consigli per le nuove generazioni. La pensione è poi un’ossessione. L’unica paura, alla fine, è di perdere quella. Dopo tanta fatica. All’ultimo momento. Oltre la lealtà, la giustizia, l’amore, l’amicizia, la propria coscienza… l’unico pensiero è ‘ora mi toglieranno la pensione’.
Fai fatica a staccarti da un personaggio dopo tanta intensità? “Il film è sempre un’esperienza totalizzante, ma non solo per me, per tutti quelli che ci lavorano, dai camion, che sono i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarsene, agli attori ai registi ai macchinisti ai costumisti… siamo dentro una realtà per 3 mesi, simulando cose che non avremmo altrimenti mai vissuto. C’è la percezione di qualcosa di intenso che finisce, come quando finisci una vacanza e sei sul volo di ritorno a casa. Non penso che il mio mestiere sia molto diverso da quello degli altri”. È molto umile questo approccio… tu porti a tutti un’esperienza. “Non la porto io, la porta il film… io sono una parte del film… e poi ognuno percepisce e sente quel racconto a modo suo. Il bello è quello. Io non saprò mai cosa prova lo spettatore”. In effetti qui c’è spazio per una liberissima interpretazione di Franco, che si può giustificare, si può condannare, può fare terrenezza o rabbia. Le musiche del compositore siciliano Santi Pulvirenti, però, sono da vero thriller e creano un’autentica suspense sonora che fa da perfetta cornice all’atmosfera drammatica. Una domanda extra-film… nel 2018, insieme a Claudio Baglioni e Michelle Hunziker, hai condotto la 68ª edizione di Sanremo. Da ex co-conduttore del Festival, chi ti aspetti per Sanremo 2025 dopo questi 5 anni di Amadeus? [Ride!] “Dopo Carlo Conti e Maria De Filippi, il nostro è stato un Festival di passaggio che nessuno si aspettava sarebbe stato un successo, siamo stati fortunati. Amadeus è stato bravissimo, con Rosario [Fiorello] hanno fatto un lavoro fantastico. Ora sicuramente ci sarà bisogno di discontinuità… o un Sanremo di passaggio oppure un altro cavallo di razza, magari anche fuori dalla scuderia RAI. Non c’è più competizione tra le reti. Potrebbero essere più figure alla conduzione e alla direzione artistica, qualcuno anche da Mediaset. Allora mi viene in mente Gerry Scotti… Chiunque sia, avrà un lavoro faticosissimo da fare”.