L’economia del cibo e del vino con denominazione d’origine e indicazione geografica italiana è stata da record nel 2021. Arriva a un valore complessivo alla produzione pari a 19,1 miliardi di euro con un incremento del 16,1% su base annuale, e un export dal peso specifico di 10,7 miliardi in salita del 12,8%. È questo lo stato dell›arte descritto dal Rapporto Ismea Qualivita in cui si analizzano i valori economici e produttivi della qualità delle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop, Igp, Stg. Con questo bilancio il comparto delle Dop del nostro Paese raggiunge la quota del 21% come contributo al fatturato complessivo del settore agroalimentare nazionale. Quindi vuol dire che più di 1 euro su 5 del cibo e del vino italiano viene generato da prodotti Dop e Igp.
Si tratta di un quadro che delinea una grande forza propulsiva da parte delle filiere dei prodotti Dop e Igp, da sempre espressione di un patrimonio economico per sua natura non delocalizzabile, frutto del lavoro coeso di un sistema complesso e organizzato che in tutto il territorio nazionale coinvolge 198.842 operatori e 291 consorzi di tutela autorizzati dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e Foreste. Quattro le new entry del 2022: Vincisgrassi alla Maceratese (Stg); Lenticchia di Onano (Igp), Finocchio di Isola Capo Rizzuto (Igp), e Castagna di Roccamonfina (Igp).
In particolare, si rileva nel Rapporto, le quattro regioni del Nord Est aumentano il ruolo di traino economico. Per la prima volta superano i 10 miliardi (10,6 miliardi per la precisione), rappresentando il 55% del valore complessivo nazionale del settore Dop e Igp, con una crescita del 19,1% recuperando il calo del 2020. Il Veneto e l’Emilia Romagna si confermano le prime regioni in assoluto per valore, con una crescita rispettivamente del 28% e dell’11% rispetto al 2020. Le regioni del Nord Ovest, con 3,8 miliardi, segnano un +10,8%, con il contributo principale della Lombardia (+7,2%) e del Piemonte (+15,4%). Le regioni del Centro raggiungono 1,7 miliardi per un incremento del 15,5%, guidate dalla Toscana (+18,6%). Mentre l’area del Sud e delle Isole è l’unica a crescere nel 2020 (+7,5%). Nel 2021 registra una salita di 3 miliardi (a +13,2%), in particolare per Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Per quanto riguarda l’export dell’agroalimentare Dop e Igp i mercati principali si confermano gli Usa con 832 milioni di euro, la Germania con 791 milioni, la Francia con 601 milioni, il Regno Unito con 210 milioni e la Spagna con 205 milioni. Per le esportazioni del settore del vino crescono i Paesi extra Ue, a partire dagli Usa in crescita del 17,6%, che è anche il primo mercato di destinazione con 1,58 miliardi di euro; seguono la Germania con 940 milioni, il Regno Unito con 707 milioni, la Svizzera con 376 milioni e il Canada con 362 milioni.
Guardando ad alcuni prodotti emerge la “forza” del vino la cui produzione sfiora i 27 milioni di ettolitri per un +10,9% su base annua, con andamento simile tra Dop e Igp. Il valore dell’imbottigliato supera 11,16 miliardi e segna un +21,2% su base annua, attribuibile soprattutto ai vini Dop (+22%) rispetto alle Igp (+16%) e con le grandi denominazioni che trainano la crescita. I primi vini per valore sono infatti il Prosecco Dop, il Conegliano, il Valdobbiadene, il Prosecco Dop, Delle Venezie Dop, l’Asti Dop e il Puglia Igp.
Va molto bene anche la categoria dei formaggi che conta 56 denominazioni e 24.659 operatori, per un valore alla produzione di 4,68 miliardi di euro in crescita del +12,8% in un anno. Le prime cinque filiere per valore alla produzione sono Parmigiano Reggiano Dop, Grana Padano Dop, Mozzarella di Bufala Campana Dop, Gorgonzola Dop e Pecorino Romano Dop.
Insomma, il settore è tornato a crescere energicamente, facendo perno sul legame tra tradizione, connotazione territoriale e innovazione. Le imprese delle filiere Dop e Igp hanno superato la crisi pandemica e stanno affrontando l’incremento dei costi energetici, con segnali molto positivi sul fronte delle esportazioni ed anche dei consumi interni. Questi dati ci confermano che la distintività è la leva di successo dell’agroalimentare italiano, anche in un periodo di grandi crisi e cambiamenti come quello attuale.