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Lavoro, il giuslavorista: “Ecco perché per la Consulta il Jobs act non viola la Costituzione”

(Adnkronos) – “Con la sentenza n. 7 del 22 gennaio scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato che la disciplina dei licenziamenti collettivi, come vigente a seguito del cd. Jobs Act, non viola la Costituzione. Sebbene la normativa di cui al D.lgs. n. 23/2015 (attuativo della legge delega n. 183/2014) fosse stata censurata dalla Corte di Appello di Napoli sotto svariati profili, la Consulta ha ritenuto non fondate le questioni di illegittimità relative alle presunte violazioni da parte del legislatore dei limiti della delega conferitagli e del principio di uguaglianza, affermando al contempo che la tutela meramente indennitaria introdotta dalle citate disposizioni è adeguata. Il Giudice delle leggi ha innanzitutto rilevato che il quadro legislativo attuale non infrange i criteri direttivi della legge di delega la quale, escludendo la possibilità per i lavoratori assunti a tutele crescenti (ossia quelli che hanno iniziato a lavorare a partire dal 7 marzo 2015) di ottenere la reintegrazione a seguito di un “licenziamento economico” giudicato illegittimo, ha ricompreso in tale generica definizione di recesso anche i licenziamenti collettivi e non solo quelli individuali per giustificato motivo oggettivo”. Così, in un commento per Adnkronos/Labitalia, Luca Garramone, giuslavorista e partner Orsingher Ortu Avvocati Associati, sul tema Jobs Act e licenziamenti collettivi legittimi. 

“Ciò in quanto -spiega- il sintagma ‘licenziamenti economici’ deve essere inteso come una ‘formula duttile’ la cui ampiezza è idonea ad essere utilizzata in senso omnicomprensivo e, quindi, ad includere anche le riduzioni collettive di personale per ragioni di impresa che sono da considerarsi, anch’esse, di natura ‘economica’”. 

“Quanto all’asserita violazione -aggiunge ancora il giuslavorista- del principio di uguaglianza lamentata dalla Corte partenopea sul presupposto che il Jobs Act abbia determinato uno squilibrio di tutele a favore dei lavoratori assunti fino alla sua entrata in vigore – i quali soli avrebbero potuto ancora sperare di vedersi reintegrati a seguito di una pronuncia di illegittimità del loro licenziamento all’esito di una procedura di riduzione del personale, mentre quelli assunti successivamente ad essa avrebbero al più potuto ottenere un mero risarcimento economico – la Consulta ha chiarito come pure tale differenziazione non sia incostituzionale”, dice.  

“Infatti, come già precisato dalla Corte Costituzionale, applicare un diverso trattamento alla medesima fattispecie ove ciò accada in momenti diversi non risulta in contrasto con il principio invocato, perché il fluire del tempo può costituire un valido motivo di diversificazione delle situazioni giuridiche ed il regime temporale di cui al D.lgs. n. 23/2015 non è dunque ‘irragionevole'”, spiega ancora. 

Secondo Garramone “ulteriore importante affermazione della Consulta è quella relativa all’adeguatezza del regime sanzionatorio di tipo indennitario introdotto dal Jobs Act per i lavoratori assunti a tutele crescenti, in caso di un loro licenziamento illegittimo a valle di una procedura di riduzione del personale a carattere collettivo. Per i giudici costituzionali, la tutela reale reintegratoria ‘non costituisce l’unico paradigma possibile’ ed è ‘solo uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro, spettando al legislatore modulare il sistema delle tutele nell’esercizio della sua discrezionalità e della politica economico-sociale che attua’, essendo ‘compatibile con la Carta fondamentale una tutela meramente monetaria, purché improntata ai canoni di effettività e di adeguatezza’. In tal senso, la Corte Costituzionale ha concluso che il limite massimo risarcitorio pari oggi a 36 mensilità (dopo la sua sentenza n. 194/2018), costituisce un importo adeguato”, sottolinea. 

Ciò premesso,”la Consulta ha comunque voluto ricordare che l’odierno quadro normativo è frutto di interventi stratificati ed andrebbe rivisto ‘in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie’, così di fatto invitando nuovamente il legislatore a rimaneggiare, in modo organico, la materia”, conclude. 

 

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