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L’amore, dalle Lupercalie ai giorni nostri

San Valentino, tedoforo di una Fiaccola perenne

 

Quattro immagini delle diverse manifestazioni dell’Amore. Nella prima, l’amore materno: una madre che allatta, non un bambino, ma dei gemelli; si tratta di una rappresentazione della vergine Rea Silvia/Acca Laurentia, alias Luperca con i lattanti Romolo e Remo; nella seconda immagine, l’amore mistico; un inquietante dettaglio dell’ ”Estasi di S. Teresa” del Bernini, trafitta da una freccia di Amor. Nella terza e quarta immagine: allegorie dell’amore cortese e dell’amore romantico.

 

San Valentino è un Santo italiano. Nacque a Terni, in Umbria, da una nobile famiglia. Convertito al Cristianesimo, presto si trasferì a Roma ove con fervore, nell’ambito della Roma pagana, segretamente celebrava matrimoni nella fede cristiana, nel pieno clima di persecuzione della nuova dottrina e dei suoi seguaci. Questo il clima dell’Urbe dell’Imperatore Claudio che accolse il fervente credente cristiano. La Chiesa lo ricorda soprattutto per il suo ardore nell’unire coppie di innamorati nel rito cristiano. Ben presto, però, l’attività segreta di Valentino determinò il suo arresto e conseguenti indicibili torture affinché rinunciasse al suo credo religioso. Valentino non abiurò e affrontò il suo martirio il 14 febbraio del 268 d.C, e per questo venne canonizzato. Giunto il quinto secolo d. C., a due secoli dalla morte del Santo, le autorità religiose cristiane, ormai dominanti, ancora si confrontavano con vecchie e radicate celebrazioni pagane, tra cui le Lupercalie. Non riuscendo ad estirpare dalla mente e dai cuori la tradizione pagana dell’amore ricordata dall’antica ricorrenza, ricorsero ai ripari attraverso il solito ed eterno sincretismo religioso; operazione non nuova alla Chiesa cristiana. Fu Papa Gelasio I, Pontefice dal 492 al 496 d. C., che nel gennaio del 495 soppresse le Lupercalie e il culto di Luperculus (Cupido e il greco Eros), dio italico dell’amore, della fertilità e della purezza. L’antico nume italico venne sostituito con S. Valentino, originariamente limitato a patrono dell’amore coniugale cristiano, ma in seguito esteso anche all’amore puro e degli amanti, fino a giungere ai nostri giorni. Ma in cosa consistevano le Lupercalie?  Come venivano celebrate? Originalmente fu una festività annuale comune fra le genti italiche osco-sabelliche, celebre nella Roma romulea. Con esse veniva celebrato annualmente il Dio pagano Luperculus, il 13, 14 e 15 febbraio. Si trattava di un rituale propiziatorio di purificazione in previsione di marzo, inizio dell’anno romuleo. Un rituale che preparava alla primavera, perciò veniva celebrato all’insegna dell’amore, della fertilità e della purezza. Febbraio fu mese della Dea Febris, divinità preparatoria al “puro amore”, della “Febbre che arde nei petti”. Interessante notare, inoltre, che la nostra parola febbre risale proprio da Febris, divinità che “ardeva d’amor”. Un residuo: fino ad un recente passato, la febbre era considerata l’effetto di “purificazione del fisico” e dell’organismo dalle tossine accumulate durante la stagione invernale, preparando all’imminente rinascita (Primavera). I sacerdoti delle Lupercalie, i Luperci, officiavano il rito nella grotta chiamata Lupercale, luogo che, secondo Ovidio e Plutarco, prese il nome dalla lupa che avrebbe allattato Romolo e Remo.

 

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Puntualmente, alle idi di febbraio, come ci informano i calendari romani giunti fino a noi e secondo Plutarco (Rom., 21, 4-10), ogni anno, alle idi di febbraio, i Luperci sacrificavano nel Lupercale alcune capre ed un cane alla presenza del flamen Dialis. Finito il sacrificio e tagliate a strisce le pelli delle vittime, i Luperci iniziavano la loro corsa attorno al Palatino, brandendo una o più strisce di pelle, chiamate februae (purificatrici), percuotendo chiunque incontravano. Alle percosse rituali dei Luperci, oltre alla purificazione, era attribuita una funzione fecondativa. Un rituale che ricordava Romolo e Remo salvati dalle acque del Tevere e allattati da una lupa. Il Lupercale riportava anche al culto di Fauno Luperco e alla dea Fauna, ossia: Luperca. Dopodiché seguiva il “purificatio fascis”: le stesse strisce ancora rosse di sangue sostituivano i vecchi legami che serravano i Fasci, costituiti da dodici verghe con scure. È nel segno di AMOR che venivano rinnovati i fasti romani. Venere, Dea dell’amore, e Marte erano i numi tutelari della gens Julia e di Roma; Roma, il cui anagramma è: AMOR. Ermeticamente, se la A di A-MOR  diventa ablativa, si ottiene letteralmente: “senza la morte”, ossia: trionfo sulla morte; da cui il virgiliano: “Omnia vincit amor”. Sin dalla preistoria, l’amore è stato considerato il più potente dei moventi della vita manifestata. La celebrazione dell’amore costituisce una delle manifestazioni più antiche e radicate nel profondo di ogni essere umano, il quale è nato dall’AMORE. È la legge “che tutto muove”; dall’attrazione biologica sessuale al fascino romantico, alla spiritualità dei mistici e dei Santi, alla poesia cortese dell’ “AMOR che move il sol e l’altre stelle” di Dante, e dei “Fedeli d’Amore”. L’amore è un fascino, una forza misteriosa e irresistibile che ogni essere, dal più elementare al più complesso, sente palpitare nel suo intimo. A livello umano, è un “fuoco” che arde e consuma (morir d’amor) chiunque brucia di desiderio, nella brama non sopita, di un congiungimento con “l’anima gemella”. A livello spirituale, è l’AMORE che differenzia l’umanità da tutti gli altri esseri manifestati. Nell’essere umano, l’amore è la fiamma che armonizza quando appagata da uno “stato di pienezza”. Questo il senso recondito della frase virgiliana: “Omnia vincit Amor”.

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