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La politica agricola comune lontana dal Green Deal

di Alessandra Cori

La denuncia della Corte dei Conti europea

 

Un altro spread si aggira per l’Europa e non è il differenziale tra i titoli di Stato italiani e tedeschi, ma la distanza tra le ambizioni ambientali del nuovo Green Deal e i piani nazionali di applicazione della vecchia Politica agricola comune dopo l’ennesima riforma.

 

“Un abisso” lo definisce addirittura l’ultima relazione della Corte dei Conti europea redatta per valutare il raggiungimento degli obiettivi di tutela ambientale che la Pac 2021-27 ha affidato in larga parte agli Stati membri.

 

Per mantenere l’unità della prima politica economica europea, nel contesto estremamente differenziato rappresentato dai sistemi agricoli dei 27, e scongiurare il pericolo di una progressiva rinazionalizzazione della Pac, l’ultima riforma ha delegato ampiamente ai singoli partner la scelta delle misure su cui puntare nell’ambito di un vasto menù fissato a livello comunitario per spendere i 378,5 miliardi di euro di cui all’Italia vanno circa 5 miliardi l’anno garantiti da Bruxelles nell’intero periodo, che ancora rappresentano un terzo del bilancio Ue  pari al 31% dello stesso.

 

Una critica, quella della Corte europea, che può essere però letta in chiave positiva viste le difficoltà che i nuovi vincoli ambientali, ai quali è subordinato un terzo dei premi, hanno causato alle aziende agricole anche in termini di aggravi burocratici e costi aziendali. Non a caso, come ricorda la stessa relazione, questi obblighi sono stati in parte allentati o rimossi di fronte alla crisi degli approvvigionamenti di materia prima scatenata dal conflitto russo-ucraino. In sostanza tutti gli Stati membri si sono avvalsi delle esenzioni, mentre alcuni hanno ridotto o ritardato l’applicazione delle “misure ambientali” necessarie per ottenere i fondi Ue.

 

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È ciò che è successo per la messa a riposo obbligatoria del 5% dei terreni aziendali da destinare a opere paesaggistiche o ambientali, quando il deficit di cereali, ha raggiunto percentuali record pari al 50% per il mais, al 65% per il grano tenero e all’80% per la soia. Così la Commissione europea ha deciso prima di sospendere e poi di rimuovere una misura i cui benefici ambientali restano peraltro ancora da dimostrare.

 

I miliardi erogati dalla Pac agli agricoltori europei attraverso i due fondi destinati ad aiuti diretti e sviluppo rurale mirano, ricorda la Corte, oltre che ad assicurare un reddito adeguato ai produttori, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento nelle zone rurali, servono anche a difendere l’ambiente dai danni della crisi climatica, che ha ripercussioni dirette sulla produzione agricola, come gli eventi meteo estremi dimostrano sempre più frequentemente.

 

“L’impostazione della politica agricola comune è migliorata sotto il profilo ecologico, ma rispetto al passato non abbiamo riscontrato differenze sostanziali nei piani degli Stati membri -ha spiegato il responsabile della relazione presso la Corte dei Conti-. La nostra conclusione è che le ambizioni ambientali dell’Ue non trovano sponda a livello nazionale e che mancano, inoltre, elementi chiave per valutare la performance ecologica”.

 

Il rapporto spiega come il Green Deal agricolo sia rimasto, per fortuna dei produttori, sul tavolo di Bruxelles. Infatti, da un lato la nuova Pac ha introdotto condizioni sempre più stringenti per ottenere i fondi Ue, dall’altro ha offerto agli Stati membri maggiore flessibilità nell’applicazione delle norme ambientali. Ha istituito i cosiddetti eco-schemi, che premiano le pratiche benefiche per l’ambiente e il benessere degli animali, e ha riconfermato le misure di sviluppo rurale, ma non si è riscontrato nessun miglioramento sostanziale dal punto di vista ambientale. Anzi, dopo l’allentamento dei vincoli in risposta alle proteste degli agricoltori della scorsa primavera, “l’impatto verde dei piani potrebbe essere ancora inferiore”, conclude la relazione. L’aumento dei terreni coltivati con metodi biologici, sostiene la relazione, è l’unico parametro misurabile, ma sarà molto difficile raggiungere l’obiettivo fissato del 25% delle superfici bio al 2030. D’altra parte, il successo del Green Deal “dipende in larga misura da azioni che esulano dalla Pac”. Per questa, invece, servirebbero “obiettivi chiari e indicatori di risultato”. 

 

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