
Il più altro tribunale del Paese si pronuncerà sulla costituzionalità della normativa che vieta ad alcuni dipendenti pubblici in posizioni di autorità – come i giudici, gli agenti di polizia e gli insegnanti – di indossare simboli religiosi nell’esercizio delle loro funzioni
OTTAWA – Dopo la Corte Superiore del Québec (che aveva esentato le Commissioni scolastiche anglofone e i deputati) nel 2021 e la Corte d’Appello (che aveva convalidato la legge in toto) l’anno scorso, ora tocca alla Corte Suprema del Canada: sarà il più alto tribunale del Paese a stabilire, una volta per tutte, se la Legge sulla Laicità del Quebec, la controversa Loi 21 fortemente voluta dal governo Legault, è costituzionale e potrà continuare ad essere applicata nella provincia. Per mettersi al riparo da contestazioni legali, il governo si era avvalso della clausola di non validità della Costituzione canadese, nota anche come “notwithstanding clause” o “parliamentary sovereignty clause”. Questo meccanismo, che deve essere rinnovato ogni cinque anni, è stato riconfermato nel 2024. A rivolgersi alla più alta istanza giudiziaria del paese sono stati: la Commissione scolastica English-Montreal (EMSB), la Fédération autonome de l’enseignement (FAE), l’Organizzazione mondiale sikh del Canada, il Consiglio nazionale dei musulmani canadesi e l’Associazione canadese per le libertà civili (ACLC). Il Primo Ministro dimissionario, Justin Trudeau, ha sempre detto che il governo federale sarebbe intervenuto nel caso in cui la Corte suprema avesse deciso di occuparsi della questione, un’opinione condivisa anche dal leader conservatore Pierre Poilievre e dal leader neodemocratico Jagmeet Singh. La nuova sagra giudiziaria (l’udienza non è ancora stata fissata, ma probabilmente si terrà in autunno) alimenterà, senza dubbio, un acceso dibattito sui poteri provinciali e sui diritti fondamentali delle minoranze etniche e religiose. Lo ha annunciato la stessa Corte Suprema il 23 gennaio, facendo sapere che esaminerà la legge 21 adottata dall’Assemblea Nazionale del Québec il 16 giugno del 2019. La misura legislativa, ricordiamolo, vieta ad alcuni dipendenti pubblici in posizioni di autorità – tra questi i giudici, gli agenti di polizia, le guardie carcerarie e gli insegnanti – di indossare simboli religiosi nell’esercizio delle loro funzioni. Altri lavoratori pubblici come gli autisti degli autobus, i medici e gli assistenti sociali dovranno tenere scoperto solo il volto. La misura non fa riferimento a simboli religiosi specifici e teoricamente tutti i simboli – kippah, turbanti, croci – sono ugualmente vietati, ma i critici della legge affermano che colpisce, in particolare, le donne musulmane che indossano l’hijab. Il governo del Québec, dal canto suo, è pronto a fare le barricate: Simon Jolin-Barrette e Jean-François Roberge, Ministri rispettivamente della Giustizia e della Laicità, hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta che difenderanno la legge “fino alla fine”. “È primordiale, addirittura vitale – hanno scritto – che il Québec sia in grado di fare le proprie scelte, scelte che corrispondono alla nostra storia, ai nostri valori sociali distinti e alle aspirazioni della nostra nazione”, promettendo battaglia in tribunale ma facendone anche una questione politica, identitaria, esistenziale.
