Aumento dei costi e perdita di competitività
di Alessandra Cori
Dai fertilizzanti ai mangimi, passando per la bolletta energetica, tre anni di guerra in Ucraina hanno fatto aumentare i costi di produzione delle aziende agricole italiane del 21%. Il dato, nel terzo anniversario dallo scoppio del conflitto, arriva dal centro studi Divulga. Secondo gli analisti, i consumi energetici e per i concimi oggi rappresentano in media un quarto dei consumi intermedi di un’azienda agricola italiana, mentre prima della guerra il loro peso era di un quinto. E se la spesa per i concimi è scesa del 7%, il costo per l’energia è invece cresciuto del 66% e rappresenta la voce che ha registrato il maggiore rincaro. A questo, poi, va aggiunto l’incremento dei costi per i mangimi e per le altre spese del bestiame, che sono cresciuti dell’11%, e l’aumento dei costi per i fitosanitari, saliti del l8% rispetto al 2021, che rappresentano un terzo delle spese di un’azienda agricola.
Sono proprio i fertilizzanti a far segnare l’aumento più significativo. In Italia le quotazioni medie di questi prodotti hanno subito una crescita esponenziale proprio nel 2022, anno dell’invasione ucraina (+173% rispetto al 2019). Successivamente, c’è stata una progressiva contrazione dei prezzi (in media -45%), ma in ogni caso rimanendo su valori decisamente più alti rispetto al passato. Le quotazioni medie dei fertilizzanti registrate a gennaio 2025 si attestano su valori intorno ai 452 euro a tonnellata, il 49% in più rispetto al 2019.
Il rialzo delle quotazioni del gasolio agricolo avvenuto nel 2022 (+52% dal 2019) continua invece a riflettersi ancora sui prezzi attuali, che rimangono del 22% più alti rispetto a prima della crisi pandemica. Dopo i picchi registrati nel 2022, con valori pari a 1,34 euro al litro in media, in queste settimane si registra un calo del 20%, a quota 1,08 euro al litro. In ogni caso, le quotazioni rimangono ancora oggi ben distanti da quelle pre-guerra di 0,87 euro al litro in media nel 2021.
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha avuto un impatto significativo anche su alcuni prodotti utilizzati per la trasformazione alimentare o per la zootecnia, di cui l’Ucraina è uno dei principali produttori a livello mondiale. Nel 2022, primo anno di guerra, il prezzo medio annuo dell’olio di semi di girasole aveva superato i 1.650 dollari a tonnellata, il 123% in più rispetto al 2019. Stesso discorso vale per il mais, elemento fondamentale dell’alimentazione del bestiame, che nel 2022 ha registrato un prezzo medio di 320 dollari, praticamente il doppio di due anni prima. A differenza di quanto successo per il gasolio e i fertilizzanti, però, almeno questi rincari sono progressivamente rientrati, seppur con lo strascico di aver appesantito i bilanci delle imprese agroalimentari, in particolare quelle zootecniche. Oggi, le quotazioni dell’olio di semi di girasole sono comunque più alte del 43% rispetto al 2019, attestandosi oltre i mille dollari a tonnellata. Quanto ai prezzi del mais, oggi a quota 191 dollari alla tonnellata, sebbene siano diminuiti del 25% nel 2024, restano comunque più alti del 12% rispetto a prima della pandemia.

Infine, il conflitto russoucraino ha provocato un vero e proprio shock sui mercati energetici nazionali, per quanto questo sia una nota dolente che l’agricoltura condivide con tutti gli altri settori dell’economia. Nelle prime settimane di febbraio 2025 le quotazioni medie del gas hanno raggiunto un nuovo picco degli ultimi due anni con un prezzo di mercato di 55,3 euro a MWh: lontano dal picco di 232,7 euro per MWh dell’agosto 2022, ma in ogni caso con valori ben superiori a prima della guerra. Oggi, infatti, i prezzi si mantengono del 126% più elevati rispetto al 2019.
A questa situazione si aggiunge l’impatto di possibili dazi Usa su prodotti chiave del Made in Italy che rischia di penalizzare l’economia italiana molto più che per la prevedibile riduzione delle esportazioni verso il mercato statunitense. È quanto stima l’Unione italiana vini, che ha immaginato un danno per il vino italiano pari a circa un miliardo di euro in caso di un’imposizione americana di un dazio a valore del 25%.
Una vera e propria debacle indotta da una sorta di “effetto a cerchi concentrici”, spiegano all’Unione italiana vini, che parte dagli Usa , dove la perdita diretta stimata sarebbe attorno ai 472 milioni di euro che equivale a un crollo delle esportazioni del 25%, ma che si allarga considerando anche gli altri Paesi impattati direttamente dalle nuove tariffe, per i quali sono previsti rallentamenti economici se non recessione, come in Germania.