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La cultura e l’anima etrusche rivivono velatamente attraverso la Roma Eterna

Popoli dell’Italia antica                                                    

 

Nella prima immagine, la classica Lupa capitolina; nella seconda, una versione antica proveniente da un Altare di Venere e Marte di epoca Traianea.

 

(III parte)

La storia antica non va considerata come un resoconto cronologico di episodi e fatti accaduti, come noi moderni lo intendiamo. Il tempo in cui nacque e si sviluppò la civiltà etrusca e che poi vide la nascita di Roma fu un periodo particolare. Gli annali delle varie civiltà di quel tempo spiegavano la natura e le vicissitudini umane come segni e riflessi simbolici del divino. Era il tempo in cui gli dei si manifestavano tra gli umani e partecipavano alle loro prove, comunicando con simboli misterici che solo personaggi eccezionali, i saggi e i sacerdoti, erano in grado di interpretare. Fu l’epoca dell’ “uomo differenziato” delle società sacrali, prima dell’ascesi dell’era moderna, pregna di materialismo. È nel contesto tradizionale che vanno spiegati simboli ed episodi che a noi si presentano come fantasiosi e “sorpassati”. Nel nostro caso, l’esempio tipico ci è dato dagli Etruschi e dalla “leggendaria” fondazione di Roma. Come all’inizio di molte tradizioni, anche nella fondazione di Roma vi sono due gemelli divini o semidivini. Nel mito della fondazione di Roma è coinvolto il dio Marte che si unisce con una mortale, Rea Silvia, vestale sacerdotessa di Vesta, che dà alla luce due gemelli, Romolo e Remo. Nei Fasti, Ovidio narra che Rea Silvia, prima di partorire, vide in sogno Romolo e Remo nelle sembianze di palme. Omero fa nascere Apollo, mentre Leto abbraccia una palma, simbolo di Vittoria, di gloria e d’immortalità. È risaputo che gli storici romani, tra cui Tito Livio, Ovidio e soprattutto Virgilio, hanno celebrato Roma e le sue origini, conferendogli un’ascendenza che si confonde con il mito. Studi specialistici recenti lasciano intendere che i primordi della storia dell’Urbe si confondono con altri miti e leggende, che poi, sotto diversi aspetti, risalgono proprio agli Etruschi. Prendiamo, ad esempio, la leggenda della nascita di Romolo e Remo. Pochi sanno che vi sono state due Acca Laurentia: la versione conosciuta, ossia quella della moglie di Faustulo, chiamata Lupa, che allattò e adottò i gemelli, e una seconda Acca Laurentia più antica e Lupa anch’essa, appartenente alla tradizione etrusca, avvolta nel mito e sposa di un certo Taruzio. Alla fine, la figura di Acca Laurentia della romanità risalirebbe ad una figura semidivina ereditata dagli Etruschi; una “Hirodule”, “prostituta sacra”. Si tratta di una prostituzione particolare, svolta nel contesto di un rituale religioso nei luoghi del culto, come forma di fertilità attraverso un “matrimonio divino” o ierogamia (qui la Hieroldule -prostituta- personificava Bona Dea, la Madre nutrice). Nella versione romana arcaica, nell’ambito di una società bucolica, Acca Laurentia diventa “La Lupa”, la prostituta sacra, patrona, protettrice e madre del popolo umile. D’altronde, anche il nome della città, considerando questi aspetti, sembra derivare non da Romolo, bensì dal termine etrusco “Ruma”, ossia mammella (tema dell’allattamento). Vi sono altri numerosi esempi che risalgono agli Etruschi e che furono ereditati e integrati nella tradizione di Roma.

 

Qui di seguito mi limito a menzionarne solo alcuni, quelli più significativi e inaspettati. Per esempio, la conta degli avvoltoi, al fine di determinare la fondazione e il fondatore dell’Urbe, non solo costituiva un rituale augurale prettamente etrusco, ma Romolo stesso, in quanto “AUGURE” del rito, doveva per forza essere membro degli  “AUGURI”, sacerdoti etruschi. Stessa cosa vale per gli “ARUSPICI”. Come etrusco fu il rituale del tracciato del “Solco primigenio”. All’aratro con un vomere di bronzo, Romolo aggiogò una vacca e un toro, ambedue bianchi, perché il bianco per gli etruschi era un colore fausto. Perfino la disposizione quadrata dell’Urbe con “CARDO, DECUMANO” e l’idea dell’ “UMBILICUS”, che poi costituirà la “MILIARIUM AUREUM” (Pietra miliare) al centro di Roma, da cui partivano tutte le strade dell’impero, ricalcava rituali sacrali etruschi osservati da questi nella fondazione di una città. Etruschi sono l’arco e la cupola, tecniche ignorate persino dai greci. Senza queste conoscenze, Roma non avrebbe potuto costruire il Pantheon, il Colosseo, le terme, i ponti, gli acquedotti, le bonifiche e le canalizzazioni. La Cloaca maxima – VI s. a.C. – fu voluta dall’etrusco Tarquino Prisco, realizzata ad archi al fine di sfidare i secoli, ed è tutt’ora operante. Stessa cosa col tracciato e la costruzione delle strade. Si potrebbe continuare, ma concludo con alcuni tra i simboli più famosi e “tipicamente” romani, risalenti, però, sempre agli Etruschi. Partiamo dal più celebre e conosciuto: La LUPA capitolina. Il celebre bronzo della Lupa romana è custodito al Museo dei Conservatori. Nel 2006 Anna Maria Carruba, restauratrice del famoso bronzo, ipotizzò che l’opera risaliva non già alla Roma antica, ma all’alto Medioevo. Però, ciò non toglie che antichi documenti e monete attestano addirittura due statue della famosa Lupa: una nel Lupercale e l’altra nel Campidoglio. Comunque, a prescindere se materialmente il bronzo capitolino sia di fattura etrusca, nella Roma antica tale simbolo costituiva la testimonianza simbolica della “mitica Lupa delle origini”, in cui si identificava l’anima romana. In sintesi, a prescindere dal famoso bronzo, l’essenziale è l’origine e la portata di questo simbolo tanto legato e rappresentativo nella storia religiosa degli Etruschi, degli italici (Sanniti-Irpini) e dei Romani. (Segue)

 

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