L’intervista all’Arcivescovo di Montréal, Mons. Christian Lépine
Azione legale alla Corte Superiore del Québec per difendere la missione della Maison Saint-Raphaël
MONTRÉAL – La Chiesa cattolica di Montréal alza la voce e sfida il governo Legault. Il pomo della discordia è la Legge 11 (An Act to amend the Act respecting end-of-life care and other legislative): entrata in vigore il 7 dicembre del 2023 (in sostituzione della Legge 52 approvata nel giugno 2014). Questo provvedimento legislativo impone a tutti gli istituti di cure palliative del Québec di offrire ai pazienti anche l’opzione del suicidio assistito (Medical Assistance in Dying, MAID). Un’opzione, questa, che viola la libertà di religione e di
coscienza, entrambe garantite dalla Carta dei Diritti e delle Libertà, sia del Canada che del Québec, e che quindi dovrebbe essere dichiarata incostituzionale. È la tesi dell’ufficio legale della Arcidiocesi di Montréal, che il 5 febbraio scorso ha contestato il dispositivo legislativo rivolgendosi alla Corte Superiore del Québec. In altre parole, per la Chiesa Cattolica, l’unico ‘percorso di fine vita’ possibile è quello delle cure palliative, escludendo qualsiasi ricorso a farmaci in grado di provocare l’ultimo respiro. È questa la regola aurea che, dalla sua apertura nel 2019, vige nella Casa di cure palliative St-Raphael, un centro affiliato all’Arcivescovado cattolico di Montréal. Un principio fondante, che l’istituto ritiene irriducibile e non negoziabile. Vista la delicatezza e la complessità della questione, abbiamo intervistato l’Arcivescovo di Montréal, Mons. Christian Lépine.
Mons. Lépine, ci spieghi qual è la posizione della Chiesa rispetto alla legge 11. “Il principio di fondo della legge è che le persone in fin di vita, colpite da malattie che comportano sofferenza, ora possono ricorrere anche al suicidio assistito per anticipare la morte naturale. Parallelamente, nel corso degli anni, la scienza medica moderna ha fatto importanti progressi nelle cure palliative, ovvero nelle terapie di conforto che accompagnano la persona sofferente fino alla morte naturale. La questione della sofferenza è reale, sia per il paziente che per la sua famiglia. Per superare le sofferenze di fine vita, ci sono due strade: le cure palliative oppure l’assistenza medica a morire. Esistono delle strutture che sono state fondate per fonire esclusivamente le cure palliative. È la loro ragion d’essere, la loro missione. Come quella della ‘Maison St-Raphaël – Maison de soins palliatifs et centre de jour’, a Outremont, istituto a cui l’Arcivescovado è legato, in un rapporto di partenariato, attraverso le ‘Oeuvres De Charité De L’Archeveque Catholique Romain De Montréal’. Si tratta di una ‘Casa’ nata da un progetto della pre-esistente Parrocchia di St-Raphael, che nel 2010 ha deciso di chiudere, con l’intento, però, di dedicare le sue strutture ad un centro di cure palliative. È stata sempre questa l’intenzione della Parrocchia e dei suoi fedeli. Per onorare questa specifica richiesta, la proprietà della Chiesa è stata assunta dall’Arcivescovado, attraverso le ‘Opere di Carità’, che ha affittato i locali della Chiesa, per 1 $ all’anno, ad una Casa di cure palliative, che è un organismo senza fini di lucro. È un’importante realtà sociale –12 letti in tutto, ma in tanti ricevono i trattamenti durante il giorno e poi tornano a casa – che accompagna gli ammalati e le loro famiglie. La nuova legge, votata nel giugno 2023, ed entrata in vigore il 7 dicembre scorso, prevede l’obbligo di offrire, oltre alle cure palliative, anche l’assistenza medica a morire. Una possibilità prima facoltativa, ora obbligatoria. La Maison St-Raphael è sorta esclusivamente per le cure palliative ed è nostra intenzione preservarne la missione. Chiediamo al tribunale di riconoscere la legittimità di un’istituzione comunitaria di perseguire i propri obiettivi, in un contesto di libertà di religione e di coscienza. Il sostegno pubblico è importante, ma questo progetto è stato lanciato da donatori che hanno finanziato un progetto incentrato sulle cure palliative. La nostra richiesta, quindi, è che la nuova legge non si applichi alla Maison St-Raphael, anche se, un’eventuale decisione a nostro favore farebbe sicuramente giurisprudenza ed avrebbe un impatto su tutti gli altri Istituti della provincia. È in gioco la libertà di religione, visti i nostri valori cristiani; ma anche la libertà di coscienza, che vogliamo preservare seguendo le regole della democrazia, dove i tribunali vagliano la a legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Parlamento”.
Viviamo in una società in cui l’uomo decide tutto, anche il momento della sua morte. “Ciascun essere umano gode di una dignità intrinseca, innata, a prescindere dalla sua condizione sociale, fisica o psiologica. Dio ci ha dato la dignità per il solo fatto di esistere. La sofferenza è un problema reale ed è per questo che si sono sviluppate le cure palliative. Ma nel momento in cui scegliamo di anticipare i tempi della morte, non c’è più libertà perché non esisto più in questo mondo. La questione della sofferenza riguarda l’essere umano che vive in questo mondo: se lascio questo mondo con la morte, non ho risolto il problema, non ho affrontato la realtà della sofferenza. Dio ha voluto la mia esistenza, non sono stato io a sceglierla: è stato il frutto dell’amore dei miei genitori e di Dio, per i credenti. La sofferenza c’è, ma c’è anche la consolazione. La sofferenza fa parte della condizione umana: la progressiva civilizzazione è la risposta dell’uomo alla sofferenza. La medicina si è sviluppata per assistere le persone malate, guarendole o allievandone il dolore. Non c’è civilizzazione, se manca l’anelito al superamento della sofferenza. Mi ha sempre colpito il fatto che, in base allo stesso Giuramento di Ippocrate, ideato 400 anni A.C., se un paziente chiede al medico un veleno per morire, il medico lo rifiuta”. (‘Giammai, mosso dalle premurose insistenze di alcuno, propinerò medicamenti letali, né commetterò mai cose di questo genere’).
Ora, a livello federale, si discute della possibilità di allargare l’assistenza medica a morire anche per i malati di mente.
“Ci sono sempre stati dei limiti precisi e delle regole molto severe e adesso, in pochi anni, siamo arrivati alla possibilità di allargarne l’accesso. C’è una linea rossa che non bisogna superare: non possiamo sopprimere la vita di una persona innocente. Ma se soffre, adesso diventa possibile. In questo modo, come società, accettiamo una ragione per sopprimere la vita di una persona innocente. E si aggiungeranno sempre altre ragioni. Una civiltà, invece, si costruisce sul rispetto di tutte le vite, fino alla morte naturale, senza mai sopprimere la vita di una persona innocente. Quando una persona è disperata e dice ‘Non ce la faccio più, voglio morire’, fino ad oggi la gente ha sempre interpretato questo messaggio di allarme come ‘Aiutami!’. Se la risposta diventa ‘Ok, ti facciamo morire’, la società non funziona più. La Chiesa Cattolica è contraria all’assistenza medica a morire, che poi è la posizione della nostra civiltà, che si è sempre presa cura delle vite più fragili. Se una civiltà arriva al punto di accettare di porre fine alla vita delle persone più fragili, si supera una linea rossa invalicabile”.
Ma se sono le persone gravemente malate e lucide di mente a chiedere di farla finita?
“La mia prima risposta, rispetto alla Maison St-Raphael, è che non si può obbligare una persona, o un’Istituzione, a fornire l’assistenza medica a morire. Per il resto, basta rifarsi al Giuramento di Ippocrate: ‘Non hai il diritto di chiedermi di toglierti la vita’”.
Per secoli il Québec è stato una roccaforte del Cattolicesimo. Poi è arrivata la Rivoluzione Tranquilla. Oggi viviamo in una società laica e secolarizzata.
“L’essere umano è sempre lo stesso. Che sia quello di 2 mila anni fa durante l’Impero Romano, oppure oggi a Montréal, è lo stesso essere umano fatto per Dio e per la famiglia. Sono cresciuto studiando i testi dell’Antica Roma, che ha sempre dato una grande importanza al Divino e alla Famiglia. Nei periodi di decadenza, la famiglia diventava meno importante e lo Stato prendeva il posto del Divino, con l’Imperatore che diventava una divinità. In quel momento, le cose smettono di funzionare. Oggi la famiglia, che è la cellula della società, è fragile. Ci sono i diritti degli individui, che rappresentano un progresso, ma bisognerebbe aggiungere anche i diritti della famiglia. Lo Stato ha una grande
responsabilità, ma a volte sono le persone stesse che sostituiscono Dio con lo stato, percepito come Stato-Provvidenza: le cose che un tempo chiedevamo a Dio, oggi le chiediamo allo stato. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo risale al 1948. È una dichiarazione straordinaria, che rileggo il 10 dicembre di ogni anno. È stata scritta in un contesto storico che usciva dalla Seconda Guerra Mondiale: intorno al tavolo c’erano comunisti, capitalisti, atei, cristiani, musulmani, buddisti, ecc. Nella Dichiarazione Universale, il diritto alla vita è importante, la libertà di coscienza è importante, i diritti della famiglia sono importanti. È una Dichiarazione che ha ispirato tante altre Carte, ma a volte bisogna tornare alla fonte”.