(1ª parte)
A più riprese, nel passato, ho scritto sulla Casa d’Italia e accennato al valore della sua presenza quale retaggio storico della nostra Comunità. Oltre ai tanti ovvi motivi già rilevati in altre sedi, due sono le ragioni fondamentali che mi spingono a ritornare sul soggetto. Primo: informare le nuove generazioni della comunità e i nuovi arrivati dall’Italia, i quali, al cospetto della Casa d’Italia e i suoi simboli, si chiedono in quale universo siano approdati. Ebbene, occorre una spiegazione alla luce del contesto storico-sociale in cui sorse la Casa d’Italia, il perché preservarla e il suo significato per la nostra Comunità. Altro oggetto d’interesse è dovuto anche al fatto che, in questi ultimi anni, la Casa ha accolto molti gruppi di studenti su appuntamento, in cerca di informazioni storiche sull’edificio, o spinti dalla curiosità del “sentito dire” sulla sua esistenza, sulla controversia venuta a crearsi a partire dal 10 giugno 1940 (l’Italia dichiarò guerra all’Inghilterra e quindi al Canada in quanto Dominion) e sul triste internamento. È da notare che tale confusa controversia è stata creata e alimentata da pochissimi e marginali rinnegati, delatori della nostra Comunità, i quali, con la guerra e l’internamento, non hanno esitato a cogliere l’occasione per vendicarsi su rivali personali e politici, dilaniando e decapitando la Comunità. Ecco perché la Casa d’Italia, malgrado sia sorta come focolare e simbolo di concordia della nostra Comunità, a causa del clima di omertà e persecuzione venuto a crearsi con il Secondo conflitto mondiale, è stata relegata per anni a residuo di un passato e controverso ritrovo di nostalgici. Continuare su questa nota vuol dire fare politica. Al di sopra delle contingenze politiche, la Casa d’Italia è sorta perché voluta dai nostri pionieri, edificata dalle loro mani come segno di concordia, italianità e raggruppamento identitario, in un contesto politico e sociale particolare. Ecco! La Casa d’Italia va vista come l’istantanea di un’epoca particolare; dissociarla dal contesto dell’epoca vuol dire falsare la sua natura, la sua origine e lo scopo della sua presenza. La salvaguardia della Casa d’Italia non risiede nella preoccupazione di salvaguardare quattro vecchie mura; sarebbe puerile! L’importante risiede nella natura storica e sociale della “Casa”. L‘edificio costituisce un riflesso concreto della coscienza e dell’indole della nostra gente: dall’esemplare, generoso e spontaneo contributo della nostra Comunità alla sua costruzione (in moneta o in manodopera), alle sue linee architettoniche, essa è simbolo della nostra presenza; un prezioso gioiello di Art-Déco e Stile Razionale italiano degli anni 20-30. Un contributo che sintetizza la nostra storia e la nostra cultura. Oggi la “Casa” non guarda al passato. Svariati sono i progetti futuri. Il primo di questi sarà l’allestimento di un Archivio Comunitario, razionalmente catalogato e organizzato, con moderne attrezzature di ricerca e area di consultazione, ove ricercatori, giovani studenti della nostra Comunità e appassionati interverranno grazie alla sua ubicazione strategica. Già un vasto locale è stracolmo di documenti, cimeli, fotografie e tante altre testimonianze della nostra presenza che molti anziani hanno affidato alla memoria storica della Casa d’Italia; vi è ancora molto materiale che giace dormiente, di cui le nuove generazioni non sanno cosa farne: ricordi, vecchie fotografie, documenti e anche vecchi “bauli della traversata’’; tutto potrebbe arricchire l’archivio e celebrare mille memorie. La “Casa” è aperta affinché non vadano perse tante preziose testimonianze. Il secondo progetto, in ordine di tempo, è l’allestimento di un Museo permanente di storia dell’emigrazione italiana. Costituirà raccolte di foto e documenti inerenti all’odissea migratoria italiana, dalla partenza, al viaggio, all’arrivo e al difficile periodo di insediamento.
Secondo: altra ragione che fa dell’edificio il fiore all’occhiello della nostra Comunità è perché la “Casa” rappresenta la nostra integrazione nel tessuto sociale di Montréal e del Québec. Due elementi fondamentali comprovano questo punto. Il primo è la partecipazione del Comune di Montréal alla costruzione della Casa d’Italia, con il dono dell’appezzamento di terreno dove sorge l’edificio da parte dell’allora Sindaco di Montréal Camillien Houde. Il secondo elemento è che, dopo il secondo conflitto mondiale, la nostra collettività martoriata e dilaniata trovò sulla sua strada ancora il Sindaco Camillien Houde (anche lui internato, a suo tempo, perché contrario alla coscrizione dei giovani franco-canadesi contro l’Asse), artefice della restituzione della Casa alla nostra Comunità (La “Casa” fu sequestrata dalle autorità federali dal 40 al 47). L’intervento del primo magistrato di Montréal alla costruzione e al recupero della Casa d’Italia per la nostra Comunità è la prova concreta di un dialogo con la società e un’ “apertura” nel tessuto sociale montrealese e quebecchese; in questo risiede la prova tangibile della nostra integrazione. Per tutte queste ragioni, la Casa d’Italia non è una grigia icona del passato. La “Casa” costituisce lo scrigno della nostra memoria collettiva, e simboleggia la presenza del meglio di tutti noi. In questa seconda fase della sua esistenza, l’edificio dovrà essere il cuore vivo e pulsante di una linfa nuova per un nuovo capitolo; un faro e un bivio d’incontro con e per le nuove generazioni della nostra Comunità.
(Continua)