di Erika Papagni, PhD
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Una rara delizia letteraria fiorentina del XV secolo
Un viaggio marino attraverso il Mediterraneo e l’Adriatico
Per ben due secoli, dal 300 al 500, ogni sera nella piazzetta di S. Martino del Vescovo a Firenze proprio dove abitava ser Durante, la leggendaria viola (vielle) dei cantastorie si univa alle ottave dei cantari per calmare il brusio della folla e far sognare e riposare la mente degli spettatori dalle fatiche giornaliere.
Il Cantare di Camilla (Cantare di Camilla bella, Libro d’Amadio, Libro de Chamila, Bella Camilla) è un antico poemetto (tra i più lunghi nella produzione narrativa romanzesca non carolingia) in otto canti d’ottave rimate di Piero da Siena (Pietro di Viviano Corsellini da Rapolano, nasce il 21 settembre 1343 e vive oltre il 1420) pubblicato a cura di Roberto Galbiati, ‘Cantare di Camilla’ di Pietro Canterino da Siena. Storia della tradizione e dei testi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015, 333 pp. Le edizioni precedenti sono a cura di Vittorio Fiorini con prefazione di Tommaso Casini (Scelta di curiosità letterarie inedite e rare) Bologna, Gaetano Romagnoli, 1892, ristampa Bologna, Forni 1969. E l’unica studiosa che ha dedicato uno studio al Cantare indagandone le fonti è la Prof.ssa Maria Bendinelli Predelli nel 1999.
Una copia del manoscritto si trova nella più grande biblioteca privata del XVI secolo, la Biblioteca Colombina di Siviglia (conservata, dal 1551, nella cattedrale di Siviglia), la biblioteca di Fernando Colombo (Cordova, 15 agosto 1488 – Siviglia, 12 luglio 1539), il figlio di Cristoforo Colombo (Genova 1451 – Valladolid 19 maggio 1506). E pare che fosse anche nell’autografa lista dei libri posseduti da Leonardo da Vinci (Vinci, Firenze, 15 aprile 1452 – castello di Cloux, od. Clos-Lucé presso Amboise, 2 maggio 1519) alla posizione centouno contenuta nel ms. 8936 della Biblioteca Nazionale di Madrid (Roberto Galbiati, IX).
Cito il riassunto di questa storia dal Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 29 (1983): “Il cantare narra le imprese di Camilla, figlia di Amideo re di Valenza, che aveva promesso alla moglie morente di sposare la donna, la cui bellezza fosse paragonabile alla sua. Dopo vana ricerca la scelta di Amideo cade sulla figlia, che per sottrarsi alle nozze incestuose, si traveste, da uomo e col mutato nome di Amadio va raminga per il mare. Dopo varie avventure, procuratele dalla sua avvenenza, la fanciulla giunge a Leanza nel regno di Aquileia, dove regna Felice. Anche Cambragia, figlia del sovrano, si innamora di Camilla credendola uomo. Nel corso di un torneo Camilla ha il sopravvento sugli altri pretendenti di Cambragia ed è costretta alle nozze. Grazie a un sotterfugio uno dei principi sconfitti viene a conoscenza del vero stato di Camilla-Amadio e ne informa il suocero. Il re ordina allora che tutti i baroni del reame si rechino al fiume e vi si immergano nudi. Ma quando Camilla si sente scoperta e irrimediabilmente perduta, accorre una leonessa che, dopo aver disperso gli astanti, si rivela per un emissario celeste. Camilla, acquistata natura virile in premio della “pazienza de’ tormenti”, diventa definitivamente Amadio, sposo legittimo di Cambragia e futuro padre di prole regale. (…) In generale l’opera, i cui prestiti da una preesistente leggenda sono pacificamente ammessi dall’autore, è una variazione del motivo tradizionale della fanciulla perseguitata costretta a ogni sorta di prove e peregrinazioni. Ma il tema della verginità minacciata, caro alla narrativa erotico-avventurosa, si colora in questo caso di inedite complicazioni e Camilla viene esposta, con non pochi affronti alla morale, ai desideri amorosi di altre donne. Perciò, per salvaguardare la costumatezza del suo racconto, il Corsellini attribuisce alla protagonista una preordinata indifferenza verso l’altro sesso e un’attitudine quasi virile alla destrezza fisica, che dovrebbe rendere anche meno inverosimile la metamorfosi conclusiva. Sempre per distogliere l’attenzione degli ascoltatori dalla sconvenienza di certe situazioni, egli invita a riflettere sull’”asempro” che la condotta di Camilla può fornire, rivoltando forzatamente a finalità morali l’epilogo dove le sue disgrazie vengono così singolarmente premiate”.
L’autore de La Bella Camilla conosceva certamente l’Eneide, infatti il cantare è suddiviso in due grandi viaggi, quello marino e quello terrestre e l’educazione virile di Camilla ricorda un’altra guerriera, la Camilla dell’Eneide di Virgilio; o meglio non quella di Virgilio “ma… quella dei rifacitori medievali, e più particolarmente toscani,” del poema latino (Maria Bendinelli Predelli, 174) :
Camilla bella fu oltre misura:
per grazia di Dio parve che l’avesse:
ch’ella fu tanto di sottil natura.
nulla fu mai che me’ di lei imprendesse:
allo ’mparare a legger nun fu dura:
la madre volle che tanto vi stesse
che diventò di scienza sí pratica
ch’alquanto sapea far dell’arte magica.
Vedendo che imparava arte diabolica
la madre dallo studio la partiva;
fatto se ne sarebbe una gran cronica
del ben parlar che di lei si faceva:
tutto il reame di sua bontà romica,
in tanto pregio Camilla saliva:
ella reggendosi in atto maschile
di femina ogni cosa avea a vile.
Per lei servir tenea molti donzelli,
femine seco non volea vedere,
e dilettavasi in cani e in uccelli:
tre schermidori incominciò a tenere
a lei insegnare e certi damigelli
di gran lignaggio e di gran podere;
la sera cavalcava e la mattina:
di questo diventò maestra fina.
A Dio e al mondo era sí graziosa,
chi la vedea pareali esser beato;
ella si dilettava in ogni cosa,
a giostra andava come uomo armato;
di natura era forte e poderosa.
Perseverando questa a modo usato,
portava della giostra onore e pregio:
così in arme montò in alto pregio. (I 34-37)
Come in quasi tutti i cantari del Tre-Quattrocento c’è ser Durante:
“Nella Camilla le espressioni e rimembranze dantesche non sono rare; e son di questo genere (c. III, 44 ): Corda non partí mai da sé quadrello, / che andasse come la galea in fretta, / similitudine foggiata manifestamente su quella dell’Alighieri (Inf. viii, 13): Corda non pinse mai da sè saetta / che sí corresse via per l’aere snella / com’ io vidi una nave piccoletta / Venir per l’acqua verso noi in quella ecc.” e “A tua benignità santa e rimota / la mia verginità rizza le vele (II 8. 5-6); dell’ira ch’i’ò non vedi che piango (V 5.4).” Parlando di Dante, si ricorderà anche che nell’Inferno al Canto I (Lo smarrimento nella selva. Le tre fiere. Incontro con Virgilio. Profezia del veltro) ai vv. 106-107: Di quella umile Italia fia salute / per cui morì la vergine Cammilla. – Dal sacrificio della vita di Camilla, regina dei Volsci, nacque un nuovo popolo, sorse l’Italia. E l’eroina è menzionata anche al Canto IV, Cerchio I dove Dante vede spiriti senza peccato e senza fede. In un nobile castello (che ha le caratteristiche di un castello medievale) in cui abitano gli spiriti magni che si distinsero per sapienza ed intelligenza, ai vv. 121-126, Dante riferisce: “I’ vidi Eletra con molti compagni, / tra’ quai conobbi Ettòr ed Enea, / Cesare armato con li occhi grifagni. / Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l’altra parte vidi ’l re Latino che con Lavina sua figlia sedea.” – Al v. 124 compare dunque Camilla, l’eroina italica che morì combattendo contro i Troiani, accanto a Pentesilea, la regina delle Amazzoni che accorse in aiuto ai Troiani.
Nella civiltà italiana del Trecento, al tempo di ser Durante, la massima virtù di una donna era quella di comportarsi come un uomo, quindi la donna guerriera, La Bella Camilla, ha una connotazione permanente estremamente positiva.
Ho avuto il piacere di leggere questo cantare per la prima volta nel 1996 (foto copertina n.1) e la seconda volta nel 2006 (foto copertina n. 2 ristampa e saggio sullo studio delle fonti) presso la McGill University dove ho conseguito un Master in Italian Studies sotto la guida della Prof.ssa Maria Bendinelli Predelli. Mi sono servita di un suo articolo (Il «Cantare di Camilla» fra tradizione europea e cultura toscana, in Cantari e dintorni, Roma: Euroma, – Editrice Universitaria di Roma – La Goliardica, 1999, pp.129-158) per alcune informazioni. Le conclusioni della studiosa, con cui concordo pienamente, sono che il cantare, pur avendo lontane origini europee, è totalmente inserito nella cultura toscana del Trecento ed è perciò parte integrante della letteratura italiana.
IL CANTARE E LE SUE FONTI
Il miracoloso cambiamento di sesso.
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La storia ovidiana di Ifi e Ianze (Metamorfosi IX) |
Le peripezie di Camilla. | Il ciclo della fanciulla perseguitata, notissimo e diffuso in tutta Europa. Una delle sue realizzazioni nella Novella della figlia del re di Dacia, Pisa 1886 |
Dopo il rifiuto, Camilla finge di consentire al desiderio paterno, chiede un indugio di qualche giorno e la concessione di tesori per potersi degnamente preparare alle nozze. La fuga avviene per mare, per sua iniziativa. | La vita di Santa Dimpna, riferita dagli Acta Sanctorum sotto la rubrica di Die decima quinta Maj, secondo un resoconto agiografico scritto tra il 1238 ed il 1247; e dal romanzo francese in versi alessandrini La Belle Hélène de Constantinople, XIII secolo |
La Camilla è il primo cantare a rivelare una conoscenza diretta del Decameron. | Giovanni Boccaccio
Decameron, Teseida (1340), De Claris Mulieribus |
La mano della principessa accordata al vincitore di un torneo. Il cantare si conclude con un triplice matrimonio. | Il Bel Gherardino Cantare noto al Boccaccio |
L’ultima parte del Cantare di Camilla: l’episodio del miracolo. |
Le Mille e una notte La principessa Badur, separata incidentalmente dal marito Camaralzaman, ne prende il nome e sposa la principessa dell’isola di Ebano. |
A Camillo, un desiderio dentro al cuore.