Intervista all’avvocato RALPH MASTROMONACO, portavoce di un importante aspetto troppo spesso trascurato nella narrativa
MONTRÉAL – Il documentario La Bataille de
Saint-Léonard, distribuito nelle sale nell’autunno 2024 con grande successo, è stato apprezzato e criticato, riaprendo un grande dibattito. Abbiamo intervistato il regista Félix Rose la scorsa settimana, e ora diamo la parola anche all’avvocato penalista senior, Ralph Mastromonaco, che si è sempre fatto portavoce di quello che è successo negli anni ’50, ’60 e ’70 su questo tema. Che cosa manca o non viene raccontato bene, secondo lei, in questo docufilm? “Viene ancora veicolata la solita retorica che i genitori italiani preferivano l’istruzione anglofona perché consideravano l’inglese la lingua degli affari, dell’imprenditoria, delle migliori posizioni lavorative, dell’ascensore sociale ed economico… La verità è che i genitori volevano sempre mandare i propri figli, molto semplicemente, nelle scuole più vicine a casa, che il più delle volte erano francofone cattoliche, ma queste rifiutavano i figli degli immigrati – che fossero ebrei, protestanti, greco-ortodossi – che quindi si dirigevano verso le scuole anglofone. Nel caso degli italiani, di lingua latina e di religione cristiano-cattolica, questa esclusione è stata ancora più inspiegabile”. Ma nel documentario si è effettivamente dimostrata una preferenza degli italiani per l’istruzione bilingue, non solo quella inglese. Non ci sono accuse contro italiani che si rifiutassero di imparare il francese, perché è chiaro che volevano… “Sì, maquesto aspetto dell’esclusione razziale dalle scuole francesi, nel film, non è neanche minimamente menzionato. Avrei voluto vedere un racconto più equilibrato. Se fai un documentario sulla battaglia linguistica del ’67-‘69 e vuoi dare un resoconto fedele e completo, stai ignorando una realtà importante. Ne emerge un quadro in cui gli italiani erano gli unici responsabili del problema, quando in realtà l’esclusione di un’enorme fetta della popolazione dalle scuole francofone, anche per ragioni religiose, stava evidentemente minacciando lo status della lingua francese, ma per colpa di chi? C’è sempre stata una falsa narrativa nazionalista, secondo la quale gli immigrati sono il problema per la retrocessione del francese, e questa retorica è tornata oggigiorno, nella politica attuale. La lingua è qualcosa di molto politico e dobbiamo appropriarci della storia per quello che è stata realmente”. Parliamo anche di una sua esperienza personale? “Assolutamente sì. Mia madre, nella sua semplicità, non pensava certo al successo. Nel 1962, quando avevo 6 anni, voleva mandarmi nella scuola che avevamo di fronte casa, francese, a NDG, che rifiutò la mia iscrizione, indirizzandomi verso una scuola inglese. Abbiamo molto sofferto per questo. È successo a me, ma a tanti altri che mi hanno ringraziato per averne parlato. Non è stato certamente un fenomeno aneddotico, ma sistematico”. Si dice anche che, all’epoca, le scuole francofone erano piene, mancavano le infrastrutture e, in assenza di posti, la legge stabiliva che si doveva dare la precedenza a bambini provenienti da famiglie la cui prima lingua era il francese. Ecco perché a volte accadeva… “Anche le scuole anglofone erano strapiene, la mia lo era, con 35-40 studenti in classi da 30, ma ci prendevano tutti lo stesso ed eravamo accettati per qualunque cosa fossimo. Questo ha creato anche un inevitabile attaccamento alla dimensione anglofona, più inclusiva e mai discriminante. Ma si è trattato di un’anglicizzazione istituzionalizzata, della quale poi siamo stati incolpati, accusati di non voler andare nelle scuole dalle quali eravamo respinti. Io vorrei vedere i politici dirlo, che c’è stata una responsabilità del sistema educativo”. Si tratta comunque di un grande lavoro d’archivio e un’opera che informa il grande pubblico sul tema… c’è qualcosa di positivo? “L’ho certamente guardato volentieri, ho apprezzato la ricerca, le immagini, i video, la documentazione storica. Credo abbia reso bene lo spirito, la passionalità, la complessità, la drammaticità, e anche le difficoltà che il governo stesso ha avuto verso le posizioni estreme di Raymond Lemieux. Interessante vedere le ragioni di entrambe le parti. Sicuramente utile per far conoscere la materia al grande pubblico, perché tanti in sala al cinema, canadesi della mia generazione o più giovani, non ne sapevano nulla… buono dunque per la divulgazione del tema in sé. Dopodiché è un punto di partenza per andare più lontano nelle ricerche. Il lavoro è indubbiamente molto ben fatto, capisco che Rose voleva raccontare la storia dei due personaggi e delle loro famiglie, che non poteva coprire tutte le sfumature di tutti i casi, non voglio essere avversivo. Possiamo tutti collaborare per la ricerca della verità”. E infatti ha lanciato una petizione…? “Si chiede al Governo del Québec di riconoscere che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, a un numero significativo di figli di immigrati italiani fu ingiustamente negato l’accesso alle scuole pubbliche cattoliche francesi, e di scusarsi con la Comunità per questo. Spero che la petizione favorisca una discussione più obiettiva sulla questione della lingua francese, che consideri gli immigrati del Québec come alleati e non come avversari su questo tema”. Per firmare la petizione depositata all’Assemblée Nationale du Québec: https://www.assnat.qc.ca/en/exprimez-votre-opinion/petition/Petition-11183.