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Israele-Hamas, ostaggi Gaza e piano per due Stati: il punto tra guerra e dialogo

(Adnkronos) – Ancora alta, altissima tensione, ma anche grande incertezza sui negoziati in corso al Cairo, sul futuro di Gaza, sulla liberazione degli ostaggi e sull’estensione del conflitto con l’intensificarsi dei raid in Libano. La guerra tra Israele e Hamas continua e un accordo di pace, almeno al momento, sembra ancora lontano così come una tregua. Gli ultimi sviluppi, infatti, vedono il ‘no’ di Hamas alla proposta di accordo di Israele su rapiti e cessate il fuoco, ma anche le parole con chiusura del portavoce del premier israeliano Netanyahu, che ha parlato della soluzione dei due Stati come di un “regalo ai palestinesi” che “non è il momento di fare”.  

Nessun passo avanti, quindi, nel giorno in cui Aman, l’Intelligence militare di Israele, lancia anche un avvertimento su Hamas che, anche se sconfitto militarmente, “continuerà a sopravvivere come gruppo terroristico o di guerriglia senza un piano per sostituirlo al governo di Gaza”. Un monito inserito in un report consegnato alle autorità dello Stato Ebraico e che, precisa l’emittente Channel 12, è stato presentato ai vertici politici israeliani, ai militari e ai funzionari dello Shin Bet. 

Hamas ha quindi respinto la proposta di accordi di Israele per il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti a Gaza in cambio della scarcerazione di 1.500 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, ha reso noto al Arabiya. 

Netanyahu considera in ogni caso “delirante” la posizione di Hamas, che chiederebbe lo stop alla guerra, il ritiro di Israele, la ricostruzione di Gaza e la liberazione di detenuti palestinesi. Su queste basi, secondo l’ufficio del primo ministro, non può esserci trattativa: “Al Cairo, Israele non ha ricevuto alcuna nuova proposta da parte di Hamas per il rilascio dei nostri ostaggi. Il primo ministro insiste affinché Israele non si sottometta alle richieste deliranti di Hamas”. 

Secondo il Segretario di Stato americano Antony Blinken, tuttavia, l’accordo sarebbe ”ancora possibile”, ma restano questioni ”molto difficili” da risolvere. “Siamo molto concentrati su questo” accordo e ”credo che sia possibile”, ha detto Blinken mentre continuano i negoziati tra i mediatori al Cairo. 

Intanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incontrato il direttore della Cia William Burns nella base militare di Kirya a Tel Aviv. Come spiega il Times of Israel, all’incontro erano presenti anche il capo del Mossad David Barnea, il direttore dello Shin Bet Ronen Bar, il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi e il segretario militare Avi Gil. 

Secondo un funzionario israeliano citato dal quotidiano, Netanyahu ”ha chiesto di sapere se gli ostaggi hanno ricevuto le medicine” consegnate a Gaza il mese scorso in un accordo che ha coinvolto Francia, Qatar e Stati Uniti. Solo ”una forte pressione militare e una ferma pressione nei negoziati” costringeranno Hamas a modificare le sue richieste per l’accordo sugli ostaggi, ha aggiunto il funzionario. 

Gli Stati Uniti e diversi partner arabi starebberointanto preparando un piano dettagliato per un accordo di pace tra Israele e palestinesi che includa una “cronologia precisa” per uno Stato palestinese. Lo riferisce il Washington Post, affermando che l’annuncio potrebbe arrivare nelle prossime settimane. 

Il rapporto, che cita funzionari statunitensi e arabi, afferma che la chiave del piano e del suo annuncio sarebbe il raggiungimento di un cessate il fuoco iniziale tra Israele e Hamas. Durante questa pausa, prevista di almeno sei settimane, gli Stati Uniti intenderebbero rendere pubblico il rapporto, compiere i primi passi verso la sua attuazione, inclusa la formazione di un governo palestinese ad interim, e cercare di ottenere ulteriore sostegno per l’iniziativa.  

Tuttavia, non è chiaro se Israele potrebbe accettare il piano, che include misure che Tel Aviv ha precedentemente rifiutato e che difficilmente verranno approvate dall’attuale governo di estrema destra, inclusa l’evacuazione di molti insediamenti in Cisgiordania, una capitale palestinese a Gerusalemme Est, misure di sicurezza e governi per la Cisgiordania e Gaza. 

”Non è il momento di pensare di fare regali ai palestinesi”, il commento del portavoce dell’ufficio del primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu, Avi Hyman, al rapporto del Washington Post. “Qui in Israele siamo ancora all’indomani del massacro del 7 ottobre”, ha affermato in un briefing, aggiungendo che ”ora non è il momento di parlare di regali per il popolo palestinese, in un momento in cui la stessa Autorità Palestinese deve ancora condannare il massacro del 7 ottobre”. Hyman ha sottolineato che ”ora è il momento della vittoria, della vittoria totale su Hamas” e ”tutte le considerazioni sul giorno dopo Hamas si svolgeranno il giorno dopo Hamas”. 

Rabbiosa la reazione della destra di governo alla notizia. Per Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale, “l’intenzione degli Stati Uniti, insieme ai Paesi arabi, di istituire uno Stato terroristico a fianco dello stato di Israele è folle e parte di un’idea sbagliata che vi sia un partner di pace dall’altra parte”. 

“Dopo il 7 ottobre è più chiaro che mai che è proibito dare loro uno Stato. Finché noi saremo al governo, nessuno Stato palestinese sarà creato – è il monito che ha rivolto Ben Gvir nel suo post su X -. 1400 assassinati e il mondo vuole dare loro uno Stato, non succederà”. 

Durissima la reazione anche del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, altro esponente dell’estrema destra che siede nel governo Netanyahu: “Noi non accetteremo mai, in nessuna circostanza, questo piano che praticamente dice che i palestinesi meritano un piano per il terribile massacro condotto contro di noi: uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme. Il messaggio è che massacrare israeliani paga”. 

“Uno Stato palestinese è una minaccia esistenziale allo Stato di Israele come è provato dal 7 ottobre”, ha aggiunto il ministro affermando che chiederà al gabinetto di sicurezza di adottare una decisione formale in cui si oppone al piano, attendendosi un chiaro sostegno in questo senso da Netanyahu. In attesa di una dichiarazione del premier, un esponente del suo partito, il Likud, il ministro degli Affari della diaspora, Amichai Chikli, ha già rigettato il piano. “Se questa è la visione americana, dobbiamo resistere e minacciarli con nostri passi unilaterali, come la cancellazione degli accordi di Oslo”, ha detto alla radio dell’Esercito. 

Intanto le Forze di Difesa israeliane hanno intensificato i raid aerei contro Hezbollah dopo ”un’intensa giornata nel nord di Israele”, ovvero dopo la raffica di razzi lanciati dai miliziani libanesi contro il Comando settentrionale dell’Idf. Lo ha spiegato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant affermando che ora ”possiamo attaccare non solo a 20 chilometri dal confine, ma anche a 50 chilometri, a Beirut e ovunque”. Gallant ha quindi spiegato che ”gli aerei dell’aeronautica militare che volano attualmente nei cieli del Libano hanno bombe più pesanti per obiettivi più distanti”. 

Il ministro israeliano ha aggiunto di non volere una escalation. “Non vogliamo arrivare a questa situazione, non vogliamo entrare in una guerra, ma siamo piuttosto interessati a raggiungere un accordo che consenta il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case”, ha affermato riferendosi agli 80mila israeliani sfollati a causa degli attacchi quotidiani di Hezbollah. 

Nel frattempo, in vista dell’operazione speciale su Rafah, le autorità egiziane stanno costruendo un’area murata di cemento di 13 chilometri quadrati nel deserto del Sinai vicino al confine con la Striscia di Gaza. E questo perché temono che un’avanzata militare israeliana nel sud della Striscia di Gaza possa scatenare un’ondata di rifugiati, hanno dichiarato funzionari egiziani e analisti della sicurezza al Wall Street Journal. 

Quest’area recintata rappresenterebbe una zona cuscinetto nella quale potrebbero vivere oltre 100mila persone, secondo funzionari egiziani. Con questo obiettivo sono state inviate un gran numero di tende nella zona. 

Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno intanto iniziato a ridurre il numero dei riservisti presenti nella Striscia di Gaza. Come spiega la Radio dell’esercito israeliano, la 646esima Brigata dei paracadutisti è stata infatti ritirata dalla città di Khan Yunis. 

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