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Iran e l’attacco simbolico contro Israele: vittime ridotte al minimo e spettacolo massimo

(Adnkronos) –  Vittime ridotte al minimo e massima spettacolarizzazione. L’attacco dell’Iran contro Israele, con droni e missili che hanno illuminato il cielo israeliano e della Cisgiordania, sembra essere stato progettato con questo scopo. Di fatto confermato da quanto sostenuto dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano Naser Kanani, secondo cui l’Occidente dovrebbe “apprezzare la moderazione” dimostrata da Teheran. 

L’operazione della notte tra sabato e domenica è apparsa alquanto coreografica e in gran parte è abortita grazie all’intervento degli alleati di Israele che però non sono riusciti a impedire il primo attacco in assoluto di Teheran contro il territorio israeliano. Ancora una volta è stata dimostrata l’efficacia del sistema di difesa aerea Iron Dome rispetto a un’operazione che sembrava destinata a fallire, ma ha comunque avuto una portata simbolica significativa. Proprio perché invece che attaccare da un Paese vicino dell’Iran, Teheran ha deciso di colpire direttamente dal suo territorio contro quello israeliano.  

I circa 1.600 chilometri di distanza tra Iran e Israele hanno dato a quest’ultimo un largo preavviso e quindi la possibilità di preparare la risposta, evitando l’effetto sorpresa e quindi di infliggere ingenti danni. Eppure, secondo la Cnn, per circa quattro ore il mondo è rimasto con il fiato sospeso mentre si temeva l’inizio di una nuova guerra catastrofica. Un sospiro di sollievo è stato tirato quando la missione permanente dell’Iran presso le Nazioni Unite ha postato su ‘X’ che l’operazione era ”conclusa”. E’ a quel punto che si è avuta la sensazione che l’Iran abbia voluto abbaiare, anche forte, ma senza mordere. 

L’attacco è stato condotto come rappresaglia per i raid aerei israeliani sul consolato iraniano a Damasco ed era in linea con le aspettative dell’intelligence Usa. La leadership iraniana, sottolinea un’analisi dell’emittente americana, si è sentita in dovere di colpire Israele per ribadire la sua immagine di potenza regionale e la sua forza agendo dal proprio territorio e non per procura. Allo stesso tempo, l’Iran doveva cercare di evitare di scatenare una guerra totale. E questo perché deve fare i conti con il malcontento interno, con una popolazione che non sopporta più le sue politiche repressive e che fa i conti con una economia schiacciata sotto il peso delle sanzioni. 

Lo stile dell’attacco iraniano a Israele ricorda la risposta di Teheran all’uccisione del generale Qassem Soleimani da parte dell’Amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, nel gennaio 2020. Teheran ha dato alle truppe statunitensi 10 ore di preavviso prima di lanciare missili balistici sulle posizioni militari statunitensi in Iraq. L’attacco non causò vittime americane. In quel momento gli iraniani volevano dimostrare ciò che i loro militari erano in grado di fare, piuttosto che ciò che erano disposti a fare. All’epoca gli Stati Uniti non hanno reagito, evitando la guerra regionale. 

Israele ha già promesso di rispondere e il governo del premier Benjamin Netanyahu appare sempre più imprevedibile, mentre gli Stati Uniti hanno dichiarato che non parteciperanno a una ritorsione israeliana rassicurando così Teheran. Ma se Netanyahu decidesse di attaccare l’Iran, Teheran potrebbe utilizzare il sud del Libano come trampolino di lancio. Una settimana prima dell’attacco, una fonte libanese aveva escluso che Hezbollah avrebbe preso parte alla rappresaglia iniziale dell’Iran, ma ”è preparata per la fase che verrà dopo la risposta iraniana”. Una forte ritorsione israeliana potrebbe spingere l’Iran ad assumere una posizione ancora più dura. 

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