“Forze ostili e alleate” si stanno fronteggiando e “influenzano la transizione verso alternative a basso rischio al fumo”. Clive Bates, esperto che dirige Counterfactual Consulting, un’organizzazione di consulenza sulle policy, le chiama le “nuove guerre del tabacco”. E, intervenendo al ‘Virtual E-Cigarette Summit UK 2021’, evidenzia la necessità di spogliare la riflessione sulle nuove tecnologie disponibili e sulle strategie di lotta al fumo di sigaretta “di tutto il rumore sottostante”.
Per spiegare a cosa si riferisce, l’esperto porta alcuni esempi: “Qualcuno ha trovato un’associazione tra ‘vaping’ e frattura ossea. E questa diventa automaticamente un comunicato stampa che mostra che c’è un nesso di causalità. Ma quando si esaminano i limiti dello studio, si evince che sono significativi”. In questo caso “siamo di fronte a un abuso di correlazione e di causalità”. Altro esempio sono gli “annunci pubblicitari su qualcosa che viene proposto come un fatto, ma che in realtà non lo è”. Bates parla di “grandi bugie”. E sempre parlando di “rumore”, cita alcuni claim: “Nicotina uguale veleno per il cervello. Oppure: il vaping è sicuro come il paracadutismo senza paracadute”.
Per l’esperto la riflessione deve essere spogliata da contrapposizioni non basate sulle evidenze. E andrebbero analizzate le strategie di controllo del tabacco finora messe in campo anche alla luce della loro efficacia nel concreto. C’è la categoria dei divieti. Al riguardo, Bates osserva: “Si è visto che il proibizionismo non funziona mai”. E cita il caso Bhutan, dove da inizio anni 2000 vige il divieto assoluto di fumo e di vendita del tabacco, citando il passaggio di un focus sulla situazione attuale nel Paese che “si trova ora di fronte a una sfida più grande: quella del traffico illegale di tabacco e dei suoi prodotti”, di un “mercato illecito che si è ampliato” nel tempo e, “come indicano gli studi”, vede al centro “i giovani bhutanesi”.
Fra le altre misure esaminate da Bates, c’è la tassazione dei vaporizzatori: “Lo scienziato Michael Pesko ha sottolineato che una tassa federale sul vaping comporterebbe un aumento di mezzo milione di giovani fumatori e che per ogni capsula di e-cig eliminata, verrebbero venduti più di 5,5 pacchetti di sigarette. Chi può pensare che questa sia una vittoria?”, si chiede l’esperto, che invita a superare l’inerzia culturale e istituzionale, a superare logiche punitive e di stigma, e a considerare senza pregiudizio l’apporto che potrebbe arrivare dalle nuove tecnologie.
“Le nuove tecnologie – spiega – vengono spesso accolte con opposizione. A mio avviso la domanda è: sono un’opportunità o una minaccia? L’assunto che portino necessariamente un rischio sconosciuto guida parte del dibattito e questo aspetto è spesso amplificato a livelli che mettono in ombra i pericoli dei rischi noti”. Bates accenna al caso Evali (lesioni polmonari associate a uso di e-cig e prodotti per il vaping) e all’allarme negli Usa legato alla presunta “epidemia da svapo”, che poi report delle autorità sanitarie hanno evidenziato essere correlata all’uso di liquidi contenenti Thc e perlopiù provenienti dal mercato illegale. “Niente a che fare con la nicotina”, sottolinea.
La consistenza del rischio Evali è stata presa in considerazione anche fuori dai confini degli States. Per esempio in Gb, come ricorda Craig Copland, E-Cigarette Unit Manager – Vigilance and Risk Management of Medicines, dell’ente regolatorio britannico Mhra. L’esperto illustra come funzionano i processi di notifica nel Regno Unito dopo la Brexit e mostra dati provenienti dallo schema ‘Yellow Card’, il sistema attraverso cui si segnalano le reazioni avverse da una molteplicità di prodotti, non solo le sigarette elettroniche. In un decennio, secondo i dati citati, ci sono state intorno a 150 segnalazioni per il vaping. Per avere un termine di paragone, complessivamente la Mhra riceve 40.000 segnalazioni di ‘yellow card’ all’anno. Nel descrivere l’attività condotta sull’alert relativo al rischio Evali, l’esperto spiega che in Uk “sono state ricevute in totale 275 segnalazioni di reazioni avverse”, non sicuramente Evali. Del totale, il 36% arrivavano dal pubblico, il 19% da sanitari e il 45% dall’industria. Insomma, la sorveglianza sul mercato è rigida, assicura Copland.