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Scena tratta dal film Quien sabe di Damiano Damiani
Il Western americano in salsa italiana: gli Spaghetti Westerns

L’intervista al prof. Damiano Garofalo che il 26 gennaio sarà a Montréal

Lo scorso 11 gennaio è iniziata la rassegna cinematografica Spaghetti Westerns che si protrarrà fino al 9 febbraio. Organizzato dalla Cinémathèque Québécoise, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Montréal, il ciclo di film prevede, oltre alla proiezione di svariate pellicole, la conferenza del professor Damiano Garofalo

 

Professor Damiano Garofalo

 

MONTRÉAL – Giovedì 11 gennaio è iniziata la rassegna cinematografica Spaghetti Westerns alla Cinémathèque Québécoise. I primi film proposti hanno già avuto un largo successo di pubblico. Per comprendere appieno l’importanza culturale e le caratteristiche specifiche dei westerns all’italiana rispetto ai corrispettivi statunitensi, è stata programmata per il prossimo 26 gennaio, alle 17:30, presso i locali della cineteca, una conferenza con relatore Damiano Garofalo, docente ricercatore di Storia del Cinema e Storia della televisione presso l’Università La Sapienza di Roma. Il Cittadino l’ha intervistato in anteprima per voi.

 

“L’espressione spaghetti western – ha esordito il prof. Garofalo – è stata individuata da alcuni critici internazionali, soprattutto francesi, per designare una tendenza nata in Italia, a partire dagli anni ’60. Più recentemente, la storiografia ha preferito utilizzare la forma westerns all’italiana, che richiama per certi versi la tradizione della commedia all’italiana. Sotto questa formula, rientrano tutti i westerns italiani prodotti tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70”. Il docente ha precisato che più propriamente si tratta “di coproduzioni europee, soprattutto tra Italia, Francia, Spagna e Germania. La maggioranza è stata girata in Spagna, in particolare nella regione dell’Almeria dove ci sono e zone desertiche che richiamano l’immaginario dei westerns americani”. Circa le ragioni della popolarità di questi film in Italia, Damiano Garofalo ha affermato: “Nonostante si tratti di b-movies – ovvero film girati con un budget ridotto, ma con un alto sfruttamento commerciale – hanno avuto un grande successo in Italia perché, di fatto, la sovraproduzione di questi film (520 nel decennio 1964-1975) ha colmato un vuoto lasciato in questa fase da Hollywood. La cosa interessante è che il pubblico italiano è sembrato essere completamente preparato all’affermazione degli spaghetti westerns grazie alla grande circolazione che aveva avuto il western americano in precedenza, in particolare negli anni ’40 e ’50”.

 

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In relazione ai collegamenti tra i western italiani e quelli statunitensi, ha dichiarato: “Le pellicole italiane, soprattutto quelli dei tre Sergio (Leone, Sollima, Borbucci), dialogano apertamente con gli stilemi del western hollywoodiano, ma allo stesso tempo li complicano e li mettono in discussione. Ogni regista dà una propria impronta personale, rimasticando e riconfigurando il cinema e la cultura americane all’interno di un dispositivo cinematografico che è completamente diverso. Non si assiste più alle regole basilari del cinema classico, ma siamo molto più orientati verso un dialogo con il cinema d’autore europeo. Si può dire che la grande particolarità di questi film è di riuscire produttivamente ad essere molto funzionali, quindi ad andare molto bene al botteghino, e, allo stesso tempo, a proporre un punto di vista dell’autore molto forte”. E sulle differenze: “Una prima divergenza è rappresentata dalla struttura narrativa. I film americani seguono la struttura classica in tre atti, mentre gli spaghetti westerns, in particolare quelli di Leone, sono dei film molto più dilatati da un punto di vista temporale in cui la dimensione narrativa lascia maggior spazio a quella estetica, visuale e visiva. In questo contesto di forti dilatazioni temporali, un grande riempitivo è, dunque, rappresentato dalla musica e dalle colonne sonore, assolutamente fondamentali e centrali. Un altro elemento decisivo è quello della dimensione esplicita della violenza. Infatti, i westerns all’italiana sono stati spesso etichettati come estremamente cruenti, soprattutto all’estero”.

 

In merito alla percezione degli spaghetti westerns in Nord America, il docente italiano ha rilevato che “molti film sono stati visti dal pubblico americano, che è sembrato incuriosito da questa rivisitazione filmica, ma, allo stesso tempo, quest’invasione di campo è stata letta dalla critica un po’ con preoccupazione e sospetto. Peraltro, la cosa interessante è che Leone usciva in Italia con lo pseudonimo americano Bob Robertson, mentre negli States con il suo vero nome. Questo perché, il cinema italiano, tra gli anni ’60 e ’70, era quello che circolava di più negli Usa dopo quello locale. Basti pensare ai film di Fellini, di Antonioni, che hanno avuto un vero e proprio boom nelle sale americane. Si voleva sfruttare l’onda lunga di questi film italiani”.

 

Abbiamo concluso sottolineando la qualità delle pellicole in programmazione: “Senza menzionare i capolavori di Leone che sono i più conosciuti, ci sono i film di Sollima che sono molto belli. In particolare, mi colpisce la presenza de Il mercenario e di Django di Corbucci, uno dei miei autori di westerns all’italiana preferiti. Però, se dovessi segnalarne solo uno, rimuovendo i film dei tre Sergio, in quanto più famosi, citerei senza dubbio Quien sabe di Damiano Damiani. Oltre al fatto che ha un cast fantastico, è un lungometraggio che lavora molto sulla rimediazione storica. È un aspetto interessante perché, a differenza di quanto proposto dai classici, si concentra sulla rivoluzione messicana e lo fa in chiave metaforica. Sembra infatti descrivere la situazione italiana di quell’epoca: la lotta armata, il richiamo alla Resistenza, i movimenti sessantottini. Quindi, l’idea che si racconti la rivoluzione messicana riferendosi a vicende storiche, culturali e politiche italiane, mi è sempre sembrato interessante e affascinante”.

 

La rassegna Spaghetti Westerns è un’occasione formidabile per assistere a proiezioni di film mai visti prima in Canada e negli Usa, gustandone il sapore dell’italianità. È un modo per ricongiungersi con un genere che, pur dialogando molto con la cultura nordamericana, ha delle caratteristiche identitarie e nazionali ben definite. Possiamo inoltre cogliere l’evoluzione del cinema statunitense fino ad arrivare ai giorni nostri. Non è un caso, infatti, che grandi registi contemporanei come Quentin Tarantino e Martin Scorzese abbiano preso spunto, e non poco, dai westerns tricolori, contribuendo, così, a far riecheggiare e assaporare, ancora oggi, la magia di questo genere nel firmamento cinematografico internazionale.

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