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Il pungolo di Pietro Lucca: miti e superstizioni (8a parte)

Estirpare completamente la vecchia fede, cancellare il ricordo di numi tutelari con i loro rituali e redimere a tutti i costi gli abitanti del “pagus” (villaggio/campagna), perciò chiamati pagani, risultò compito non facile per la Chiesa.

Perciò, oltre all’eterno ed immancabile sincretismo religioso, la Chiesa ricorse ad una serie di contraffazioni di tutto ciò che ritenne di rigettare. Si ricorse alle più strampalate fantasie, trasformando i vecchi numi in entità demoniache in agguato di anime incerte; si fece leva sulla semplicità e sul naturale timore del soprannaturale delle masse rurali; si minacciò di perdizione e dannazione eterna. Spesso il bersaglio erano donne sole, senza famiglia ne figli. Le cosiddette streghe o janare, potevano essere fanciulle ammalianti, o donne anziane esteticamente trascurate e dedite a misteriose pratiche taumaturgiche. Sull’origine della nostra strega-Janara, oltre a Diana va senz’altro considerata anche la figura di Ecate. Infatti Ecate, divinità femminile antichissima, non sempre era associata a qualità positive.

La dea è spesso rappresentata come anziana, ma in realtà era trina e racchiudeva in sé la fanciulla, la donna e la megera. La divinità custodiva tre regni: l’etereo, il sensibile e l’infero. Quindi: ponte tra Cielo, terra e inferi; perciò era una divinità psicopompa, ossia in grado di viaggiare tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Qui il richiamo al simbolismo dell’albero, quale elemento di connessione fra cielo (chioma) terra e inferi (radici) è lampante; ed è proprio sotto un albero di noce (l’Irminsul longobardo) che si riunivano le janare. Tra i simboli associati a questa divinità trina, visono i crocicchi, la chiave, la fiaccola capovolta (perciò su certe lapidi funeree antiche, vi sono delle fiaccole capovolte ad illuminare gli inferi) e il cane. La chiave apre il mondo dell’Ade (l’opposto di Giano che apre le porte dei cieli). Il latrato dei cani, fedeli guardiani (Cerbero?), accompagnavano le apparizioni della divinità. Il crocicchio, ossia il punto d’incontro di tre strade, era associato alla dea, sempre per la sua simbologia trina.

Ecco perché in quei luoghi spesso venivano erette statue e altari a protezione dei viandanti; l’avvento della Cristianità ha trasformato anche questa credenza pagana in simbologie nefaste e negative… fino a designare il crocicchio quale posto ideale per la sepoltura dei suicidi e luogo sinistro di apparizioni di anime dannate o vaganti. Vi è che Ecate è luce e oscurità contemporaneamente, rappresentato dalla fiaccola capovolta. È sintomatico che le donne accusate di stregoneria, oltre a Diana, riflettevano aspetti che le riallacciavano a Ecate: depositarie di un’antica sapienza, soccorritrici e conoscitrici di pratiche protettive per la salute.

Nell’immagine, il rogo di Matteuccia da Todi, prima vittima di S. Bernardino da Siena. Il 20 marzo, 1428, a 40 anni, la “Domina herborum”, profonda conoscitrice di erbe e unguenti benefici, dopo una confessione estirpata a seguito di orrende torture, venne condannata quale strega, incantatrice, fattucchiera, maliarda e autrice di sortilegi. Per lei non vi fu scampo: fu seguito l’esempio di Arnaldo di Citaux, durante l’inquisizione contro i Catari nel 1209: “Amazzare, bruciare, sterminare tutti e, se periranno possibili innocenti, Dio riconoscerà i suoi”. Nel 1478, con l’Inquisizione spagnola, Torquemada applicò la stessa regola!

Per gli inquisitori, però, queste donne in apparenza persone normali, di notte tormentavano le vittime prescelte ed esercitavano malocchi e fatture; fermi su questa convinzione, ricorsero a persecuzioni fanatiche. Dalle confessioni estirpate attraverso inimmaginabili torture, le erbe e gli unguenti, una volta strumenti taumaturgici, divennero mezzi diabolici che permetteva alla Janara di diventare incorporea, ovvero di acquisire la stessa sostanza dl vento. Dalle “confessioni”, le janare, dopo essersi spalmate di unguento, spiccavano il volo verso il sinistro noce recitando questa cantilena: «Unguento Unguento, mandame a la noce de Beneviento.

Supra aqua e supra ad vento et supra ad omne maletempo”. Così, donne esperte in erbe medicamentose e stupefacenti, una volta impiegati nelle pratiche taumaturgiche, vennero accusate e processate come malefiche fattucchiere. La Janara venne immaginata nuda, orrenda e cosparsa di fetido e malefico unguento: aveva capelli scompigliati e occhi terrificanti; lunghe unghie affilate, e una pelle rugosa e disgustosa.

Per muoversi usava l’eterna scopa, che la portava al sabba, nel corso del quale venerava il demonio sotto forma di cane (residuo di Ecate) o caprone (l’antico Pan). Una delle figure cristiane di spicco all’origine della caccia alle streghe-janare fu San Bernardino da Siena, il quale nel XV secolo predicò aspramente contro le streghe, additandole al popolo quali responsabili di sciagure e calamità, ripetendo nei suoi sermoni di sterminarle tutte. Ulteriore impulso alla caccia alle streghe venne dato dalla pubblicazione, nel 1486, del “Malleus Maleficarum”, ossia: IlMartello delle streghe, manuale per eccellenza dell’inquisizione, redatto dai Domenicani Heinrich Kramer e Joacob Sprenger, che raccomandava come riconoscere le fattucchiere, processarle ed interrogarle efficacemente, anche con la tortura.

In questo modo, tra il XV e il XVII secolo furono estorte numerose confessioni da presunte “streghe”, le quali, stremate dalle torture, terrorizzate da un possibile rogo e probabilmente drogate, parlarono dei sabba all’ombra del noce di Benevento. Confessarono quel che i confessori volevano! È ciò che fece la prima vittima innocente, una certa Matteuccia da Todi, seguita da tantissime altre, “aiutate” dall’insistenza dei tribunali…..Dopo il rogo dei Catari (1209), un altro rogo divampò sinistro, quel 20 marzo 1428.

(Continua)

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