Non pretendo di presentare uno studio sulle superstizioni; sarebbe più che presuntuoso e puerile de parte mia. Tento solamente di sfiorare alcune figure dell’universo superstizioso di alcune parti della Penisola che, via via, trasformandosi ed adattandosi ai tempi, hanno accompagnato la società dall’antichità sino agli anni Cinquanta del secolo scorso, almeno nelle zone rurali. Fra le tante credenze e superstizioni, seppur superficialmente, è interessante soffermarci sul mito e sull’origine della “Befana-Janara”.
Molti si chiederanno come sia possibile accomunare la Befana alla Janara. Questo perché all’origine si trattava di una sola entità, Janua-Diana-Dianara, entità religiosa pagana, che, malgrado la trasformazione subita dal Cristianesimo, in una brutta e malefica vecchia, conservò una doppia natura: taumaturga o maligna; vecchia e brutta ma che possedeva formule e ricette magiche a cui si ricorreva, o strega cattiva che spiccava il volo a cavallo di una scopa, provocando sortilegi e accoppiandosi con i demoni sotto un albero di noce. Insomma, fu trasformata in tutto ciò che richiamava antiche paure, latenti nel subconscio umano.
In realtà, la parte maligna di questa strega è legata alla figura di Megera della mitologia greca. Infatti, Megera era una delle tre vendicative Erinni, divinità infernali, note nel mondo latino come Furie. Orbene, partendo da una sì maligna entità e dalle Ianare, come si è arrivati alla figura della Befana legata all’Épifania e all’arrivo dei Re magi? L’Epifania da secoli festeggia l’infanzia con doni; ma perché sono portati da una vecchia brutta? Perché anch’essa vola, come le Ianare, su una scopa? Com’è avvenuta questa confusione? Vi è che anche il mondo pagano, oltre a Megera, aveva le sue Befane, ma non si chiamavano così; anch’esse volavano su una scopa, ma per purificare i campi e propiziare il raccolto durante la dodicesima notte (dodici notti come i dodici mesi dell’anno), dopo il solstizio invernale.
Inoltre, erano entità di bell’aspetto, angeliche e benefiche, associate a divinità minori: “Satia” Abundia” (Abbondanza e Sazietà). Insomma, erano befane pagane, che donavano fertilità e benessere. I Romani credevano che, in quelle dodici notti, delle figure femminili volassero sui campi coltivati per propiziarne la fertilità, da cui il mito della donna che volava. Tale figura femminile fu identificata (guarda caso) con Diana, dea lunare legata alla cacciagione, alla vegetazione e, all’occasione, associata a Sàtia e Abùndia. Inoltre, il simbolo della Befana richiama anche alcune figure della mitologia germanica importate dai longobardi, come ad esempio Holda e Berchta, personificazioni al femminile della natura invernale.
Queste confuse sovrapposizioni diedero origine a molte interpretazioni ambivalenti che, a partire dal Basso Medioevo, sfociarono nell’attuale figura della Befana, il cui aspetto, benché benevolo, richiama ad una sorte di strega. Non a caso la Befana, come le Ianare, è rappresentata cavalcando una scopa volante che, nel caso delle Ianare, da simbolo di purificazione delle campagne e delle case in previsione della rinascita della nuova stagione, fu successivamente ritenuto strumento di stregoneria. Fu Epifanio di Salamina, nel IV secolo d.c., attraverso un confuso sincretismo, a dar vita alla “nostra Befana”: una forma ibrida nata dalle ceneri di Megera, Janua, Diana, Dianara, Abundia e Satia.
Da allora anch’essa vola su una scopa la dodicesima notte dopo il Natale, diventando la ricorrenza della visita dei Re magi a Gesù (Epifania). Ecco spiegata la natura della sua ambivalenza: una figura mezzo buona (porta i doni) e mezzo cattiva (vola su una scopa, come la Ianara, e sembra una strega); del resto, se non si è stati buoni la vecchia, si sa, porta il carbone. Sagome di Befane si bruciavano un pò dovunque in Europa a fine anno, a rappresentare il vecchio che se ne andava e per accogliere il nuovo che veniva. Ed è per questa consuetudine che, in origine, il carbone era associato alla Befana.
Guarda caso, parallelamente, anche nella natura delle Janare vi è l’aspetto ambivalente: Megera maligna, o vecchia depositaria di un sapere taumaturgico antico? Nei timorosi villaggi rurali del Medioevo, è a delle vecchie erboriste o incantatrici, condannate dalla Chiesa, che la gente ricorreva in caso di estremo bisogno; dopo le preghiere, l’estremo ricorso a numi antichi e vecchie pratiche di esorcismo al fine di vincere il malefico sortilegio. Cito un esempio pervenutoci circa l’eliminazione dei vermi intestinali: veniva eseguito il gesto della croce sulla pancia del sofferente, accompagnato da uno scongiuro ripetuto più volte per neutralizzare il male; la croce è il più universale tra i simboli elementari e l’unione degli apparenti opposti.
Oggi, nella nostra società moderna e razionale, quanto distante e primitivo appare l’universo superstizioso del passato! Ma siamo poi tanto distanti? L’individuo moderno ha veramente vinto tutte le paure che assillano il suo subconscio? Siamo veramente consci delle nostre facoltà? A questo proposito, Mircea Eliade nel 1966 dichiarava: “Tocchiamo un problema della massima importanza, cioè la questione della realtà delle capacità extrasensoriali e dei poteri paranormali attribuiti agli sciamani, a uomini e donne di medicina. Sebbene la ricerca a proposito sia ancora agli inizi, un numero piuttosto grande di documenti etnografici ha ormai stabilito l’autenticità di tali fenomeni oltre ogni dubbio”.
Insomma, qui l’eminente studioso lascia intendere che le nostre Janare, streghe o befane del passato, dopo tutto non erano altro che delle sciamane, donne eredi delle fate delle tradizioni classiche e nordiche, tragicamente demonizzate. Esse costituivano l’espressione dell’eterno femminile, depositarie di una sapienza antica e provette conoscitrici di erbe, pozioni e formule magiche, che ad un dato momento della storia furono demonizzate e condannate dalla Chiesa.