A tutti è noto il racconto Fantasy: “Hobbit e il Signore degli Anelli” di John Ronald Reuel Tolkien, accademico, scrittore, poeta e filologo inglese (1892-1973). La capacità di questo prolifico scrittore di raccogliere e assemblare diversi elementi folcloristici, mitologici e leggendari, hanno determinato un indiscusso capolavoro letterario destinato a lasciare un segno indelebile nella storia del fantasy.
Abile scrittore, come in un mosaico, ha assemblato i tanti disparati “tasselli” leggendari, riuscendo a creare un’epopea fantastica. Come le tessere di un mosaico, l’opera del Tolkien costituisce un insieme di leggende che non sono altro che delle “rivisitazioni”, echi di antichi racconti popolari. Gnomi, elfi e strane creature popolano il mondo di “Hobbit e il Signore degli Anelli”. L’origine delle leggende a cui ha attinto l’autore è antichissima, sopravvissute grazie alla tradizione orale, al folclore e alle favole, le quali, tutte, iniziano con: “Si diceva, dicevano gli antichi, si racconta, ecc.” Di sicuro molte di queste costituirono le fonti di ispirazione del Tolkien.
Sappiamo che uno dei simboli centrali dell’opera del Tolkien è costituito dal fatidico anello dal misterioso potere: possederlo significa avere a disposizione poteri immensi. A questo proposito voglio proporvi un’antichissima leggenda nostrana, “patrimonio popolare” che tanto ha di simile al simbolismo e ai personaggi del Tolkien. Si tratta di “un folletto” e il suo “anello”. Una strana figura, retaggio di antichi miti della Penisola, il cui potere era costituito da un anello magico che poteva renderlo invisibile, dargli accesso a tesori nascosti, e un cappuccio rosso di cui lo gnomo non si separava mai. Il suo nome è Mazzemarill ma è noto con altre varianti in diverse località in italia. Nel centro-sud e sud: Munaciello o Mazzamauriello (Campania), Mazzemarill (Molise-Abruzzo), Scazzamurrill (Foggia), Monachicchio o Marranghino (Lucania), Fajetti, Vuvitini o Augurielli (Calabria), Mazzamureddu (Sicilia e Sardegna). Nel centro-nord e nord abbiamo: Buffardello (toscana); Mazapegul (Romagna); Massariol (Veneto); Tamarindo (Friuli); Salvanel (Trentino); Gata Mora (Trieste); Carchèt (Piemonte), ecc.
Se il folletto veniva trattato bene diventava un benefattore disponibile ad arricchire chi abitava con lui, altrimenti esasperava la vittima con burle e dispetti. Il Mazzamauriello agiva di notte, aspettava in silenzio finché il malcapitato o il fortunato non entrava in fase di veglia. Si diceva che colui che fosse stato in grado di impossessarsi del berretto rosso o dell’anello avrebbe potuto beneficiare dei poteri magici del folletto.
zOvviamente, afferrare il berretto o togliere l’anello non era un’impresa facile. Senza l’anello e il berretto, i folletti non potevano vivere; perdevano il loro potere e tutta la loro allegria; piangevano e si disperavano, finché non lo trovavano. Pur di avere il cappuccio e l’anello, il Mazzamauriello era disposto a svelare il nascondiglio di un tesoro, spesso nascosto nel sottosuolo, nelle grotte e nei boschi; in questo caso non lo si doveva accontentare subito, poiché, finché era senza copricapo e anello, Mazzemaril restava buono, ma, una volta in possesso, fuggiva e ricominciava a fare i suoi dispetti. Diverse sono le tradizioni che riguardano Mazzamauriello. A Città Sant’Angelo, in Abruzzo, in occasione della ricorrenza “Dall’Etna al Gran Sasso”, viene dedicata una serata a ‘Li mazzemarill’.
Folletti dispettosi popolano i vicoli del borgo la sera, importunando le belle donne e punzecchiano i ragazzi. Sono riconoscibili per il tipico cappello rosso a punta e l’indole burlona. Ma questi spiritelli dispettosi sono invenzioni della fantasia popolare, oppure risalgono a residui di antiche saghe? Forse, attraverso la tradizione popolare dei vari Mazzemaril, dal nord al sud, si celano non solo antichi residui mitologici alterati dalla fantasia e tramandati attraverso il folclore, ma col tempo furono associati a fatti accaduti in seguito, che ricordano tristi vicissitudini.
Infatti, il Palermitano Giuseppe Pitrè (1841-1916), celebre medico e intellettuale siciliano, colui che diede origine allo studio sistematico su base scientifica del folclore italiano e autore della monumentale opera “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, a proposito del Mazzamauriello, lascia intendere che, a prescindere dalla figura leggendaria, la parola Mazzamureddu trae origine da “Matas Moros”, ossia lo spirito “ch’ ammazza li mori”, esortazione contro i mori che infestavano le coste italiane. Non a caso, egli fa osservare che la Sardegna ha per simbolo “quattro mori”, i quali corrispondono simbolicamente alle quattro vittorie sui quattro re saraceni sconfitti dagli aragonesi durante la battaglia di Alcoraz… Spesso la fantasia rende fantastica la storia.