Negli articoli precedenti ho appena sfiorato l’origine di alcuni miti e superstizioni, quali residui derivanti dallo scontro di due tipi di civiltà; o meglio di due mondi: quello matriarcale preindoeuropeo e quello patriarcale indoariano. Il permanere dei residui di antichi principi contrastanti in seno a popolazioni profondamente religiose maturò con i secoli non solo un clima propizio al leggendario ed al superstizioso, ma determinò altresì, in certuni, lo stimolo alla ricerca di un filo conduttore che li riallacciasse alla “Fonte”; ad un “Illo tempore” a cui risalire, una volta squarciati i veli del fumoso crogiuolo di idee e credenze che albergavano nelle coscienze. Si trattava di una ricerca interiore atta a riallacciare l’individuo ad un’ “origine”.
Considerando il clima sociale dominato dalla Chiesa, fu giocoforza che tali ricerche o “tali vie” furono prerogativa di pochissimi spiriti che “osavano”. Tutto ciò che non corrispondeva ai dettami cristiani, era non solo malvisto, ma fanaticamente perseguitato (i tristi roghi delle streghe-janare e dei cosiddetti eretici la dicono lunga). Per questa ragione, le ricerche ed il linguaggio degli adepti fu un linguaggio segreto, simbolico. Ed ecco perché si ricorse a simbolismi e allegorie; in questo caso, l’ATANOR e la figura dell’ALCHIMISTA. Dilà, più vicino a noi la Gnosi e le correnti mistiche derivanti.
Ad esempio, le misteriose e antiche confraternite: L’ “Hagia Sophia” (La Santa Saggezza) – di là: fi-lo-sofia: amico della saggezza-; “La Fede Santa”, de “I fedeli d’Amore”, di cui Dante, Guido Cavalcante, Petrarca, ecc., furono adepti. Questo spiega anche perché il linguaggio di Dante è considerato “tanto difficile”. D’altronde è Dante stesso ad avvertire il lettore: “O voi ch’avete l’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani” (Inferno IX, 34-63). Questo ed altri numerosi scritti fanno riferimento ad un percorso di conoscenza occulta del Grande Ghibellino.
Inoltre, a titolo di esempio circa le manipolazioni della Chiesa, faccio notare che finanche “La Commedia” di Dante, ghibellino e non guelfo, per la chiesadivenne “Divina”. Infatti, Dante stesso chiama la sua opera: “La Commedia” e non “Divina Commedia” (Inferno XVI, 128; XXI, 2). A rappresentare il cammino e l’evoluzione della spiritualità attraverso i secoli, vi è sempre il simbolo di un ricettacolo, come lo furono la Pentola di bronzo o il Lebete Tripodato. Altrettanto è l’Atanor il simbolo per eccellenza che rappresenta un periodo particolare dell’esperienza spirituale umana. Se la Pentola fu crogiuolo e sintesi di valori e conoscenze, con l’Atanor il ricettacolo diventa fucina operativa e strumento essenziale alchemico. L’immaginario ha sempre associato l’ALCHIMIA alla ricerca di un metodo da parte di alchimisti medievali e del rinascimento per trasformare “il piombo o i metalli vili in oro”. In realtà, lo scopo della pratica alchemica è lungi dall’immaginario comune.
In alchimia, quando si parla di trasmutazione, si intende “nobilitare” la materia; e qui la materia è l’alchimista stesso. La trasmutazione implica una trasformazione e, per spiegare questo processo, come al solito, si fa riferimento ai simboli. Quando, per esempio, in alchimia si parla di “distillazione”, s’intende l’operazione capace di separare il “vile” dall’ “essenza”, vocabolo derivante dal latino “essentia”, ossia: “esse”, “essere”. Vale a dire che l’essenza distillata risulta la componente migliore della materia originaria, privata degli aspetti grezzi. Per cui, in termini profani, la frase “trasformare il piombo in oro” implica: realizzare una conquista interiore, “recuperare la quintessenza umana”; dunque una ricerca spirituale e un “lavoro di sublimazione” di se stessi. In ciò consiste la “Via alchemica”: un percorso interiore spiegato in chiave simbolica attraverso immagini e allegorie, il cui strumento allegorico centrale è l’Atanor: la cosidetta “Via degli Alchimisti” calcata dagli adepti è la Via della Tradizione Ermetica dei testi ermetici. Fu Marsilio Ficino (Valdarno, 19 ottobre 1433 – Careggi, 1o ottobre 1499), filosofo, umanista e astrologo italiano che tradusse dal greco al latino i 14 trattati del “Corpus Hermeticum”, raccolta di scritti attribuiti alla figura leggendaria di Ermete Trismegisto (tre volte grande).
Questi trattati considerano la natura come un corpo sacro e vivente, un grande organismo che racchiude in sé i corpi che vi albergano, dotata di un’anima e di un’essenza divina. Una natura (macrocosmo) in rapporto con l’uomo (microcosmo). Secondo questo principioermetico, l’uomo è il riflesso dell’Universo. Questa disciplina ha origini antichissime ed è attribuibile a sapienti e popoli diversi del passato, la cui conoscenza fu parte di una catena ininterrotta, un filone sapienziale i cui anelli risalgono all’epoca atlantidea, caldea, egiziana, greca, romana, araba, cinese e italica. Un’origine che risale alla notte dei tempi. Un patrimonio di profonde verità da custodire, le quali, con l’ausilio dell’Atanor, consentivano a chi, squarciati i veli attraverso il passaggio di diverse e importanti fasi iniziatiche, realizzava la cosiddetta “Pietra Filosofale”. All’origine dell’ermetismo occidentale vi è la figura di Ermete Trismegisto, e il suo Atanor è l’individuo nel quale avviene la“trasmutazione”. D’altronde, l’etimo di questa parola, più che ad una fornace, etimologicamente si accosta al greco “athànatos”, cioè “senza morte”, in riferimento alla realizzazione della Grande Opera.