Abbiamo constatato che, nella storia religiosa occidentale, le fasi dell’esperienza spirituale sono riassunte e rappresentate da ricettacoli simbolici. Ognuno di questi rappresenta un livello religioso e uno stato dell’Essere. Dopo la PENTOLA e il TRIPODE lebetato, ambedue ricettacoli di valori e simboli di un percorso religioso graduale, siamo giunti all’ATANOR.
Qui il ricettacolo è diventato laboratorio, ovvero fucina mistica di esperienze religiose; percorso volto ad una conquista sapienziale. Allo zenith di queste tre fasi vi è un quarto ed estremo ricettacolo che simboleggia il tutto: il SACRO GRAAL, “cuore” anch’esso, però fine ultimo di sublimazione, simbolo e somma misterica, ove le complementarità principiali integrano l’ “Unità originaria”, da dove tutto s’irradia. Non si conosce la forma reale dell’oggetto in questione. Si sa che Graal, dal latino Gradalis, indica: una tazza, una vasca o un calice. Esso va riferito “alla coppa della vita” dei Celti del ciclo arturiano. Secondo alcune versioni, il Graal, era la “Lapis exillis” di Wolfram von Eschenbach (Pietra favolosa da cui rinasceva la Fenice e ridava la giovinezza).
Secondo altre versioni, esso sarebbe la “Lapis ex coeli”, pietra venuta dal cielo. Il Graal è un oggetto “magico” taumaturgico che dà vita eterna, sconfigge la morte, dà ricchezza, abbondanza e potere, ma, se usato in maniera errata, può avere conseguenze devastanti. Alcuni esoterici lo considerano il “Cuore di Gesù”; per altri è il cuore di Gea. La tradizione cristiana parla di due contenitori divini: il calice dell’eucaristia e la Vergine. Nel primo caso, il Calice Eucaristico richiama al mistero integratore dei due principii e il loro “incontro” nella Trinità, fonte di tutto. Il secondo calice, la Vergine, simboleggia una delle tante rappresentazioni fisiche del grembo fecondo della Grande Madre o Bona Dea, quale dispensatrice terrena di vita e abbondanza; poiché è col suo grembo che si manifesta il piano fisico. Questo sacro e leggendario oggetto entra nell’agiografia cristiana quando Giuseppe D’Arimatea raccoglie il Sangue del Cristo nella Coppa dell’Ultima Cena, che poi verrà definita Santo Graal. Secondo alcune versioni, sembra che Gesù avesse ricevuto questa Coppa in Cornovaglia da un Druido convertito alla religione cristiana, molti hanno voluto vedere in questo sacerdote druidico la figura del mago Merlino.
Qui la leggenda si confonde al mito primordiale; però, non va dimenticato il lato “criptico” e simbolico, tradizionalmente “linguaggio” degli adepti iniziati al mistero. Inoltre, è interessante notare che, nel ciclo celtico, la “Coppa” risulta un simbolo antecedente al ciclo cristiano del Graal. Cerchiamo ora di capire il significato velato, dietro il tema: “la questua del Graal”. Sin dai tempi più remoti (quindi anche precristiani), vi son sempre state personalità eccezionali, propense alla “ricerca”, ad una “questua”, al fine di accedere a stadi di conoscenze straordinarie e stati superiori dell’essere. Al fine di giungere alla meta, simboleggiata dal Graal, due furono le vie possibili per accedere alla “Fonte”: la Via della “MEDITAZIONE” e quella dell’ “AZIONE” (i misteriosi sentieri degli adepti: la via “asciutta” o la via “umida”; o della mano destra o della sinistra). La Via della “meditazione”, o asciutta della mano destra, ha come “strumento e disciplina” l’eremo, la preghiera e la meditazione religiosa, ossia la Via dei Santi e dei grandi mistici come S. Bernardo di Chiaravalle o S. Francesco d’Assisi. La Via dell’azione, o “umida” della mano sinistra, è la “via della prove secolari”, che permette, dopo la china, di raggiungere la “Vetta eccelsa”. La Questua del Cavaliere è la “Via” espressa nell’ “azione”, guidata da regole di una disciplina interiore”. (vedi le 12 fatiche di Ercole, la discesa negli inferi – Enea, Dante – i “Cavalieri erranti”, ecc.).
Il Graal, quale simbolo della spiritualità medievale per eccellenza, nell’antichità classica aveva una sua controparte: la sacra CORNUCOPIA: oggetto archetipale, custode e dispensatore ideale di ogni bene. Faccio notare che le virtù sacrali simbolicamente rappresentate dalla Cornucopia e poi dal Sacro Graal sono immanenti e simboleggiano lo stesso Principio: somma di ogni virtù e fonte di ogni “complementarità”; solo il nome cambia. L’affiancare la Cornucopia al Graal è per riferirmi ad un simbolo archetipale integratore della complementarità e degli “opposti”. È nel Medioevo, a torto definito l’ “età oscura” che appare per la prima volta la parola Graal sotto forma letteraria, nel “Perceval ou le conte du Graal” di Chrétien de Troyes (XII secolo). Qui il Graal, legato al ciclo arturiano e cortese, non è ancora definito “sacro” e non è ancora identificato col Calice contenente il Sangue di Cristo, per cui costituisce un retaggio precristiano che va collegato alla Cornucopia.
In sintesi: simbolicamente il Graal, simbolo immanente, allude ad una somma di conoscenza iniziatica, elargita da Dio, a chi, a seguito di una conquista sapienziale, è degno dell’enorme potere magico in esso racchiuso. (Continua)