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Il pungolo di Pietro Lucca. Gea, Madre natura, dissacrata e stuprata

La nostra sfrenata e vorace corsa alla ricerca di elementi e materie prime, al fine di alimentare la nostra cosiddetta “società di consumo”, ci ha portati a scombussolare, disboscare, squartare, livellare e trivellare la terra e i fondali marini; un’attività che oggi tocca il parossismo. Vi è che sin dall’antichità, menti eccezionali hanno denunciato le deformazioni ambientali a seguito di iniziative umane. Vi fu chi con lungimiranza denunciava gli abusi sulla natura. Tra questi, l’esempio di un ecologista “ante datam”, della Roma antica: Plinio il Vecchio (23-79 a.D.), studioso e autore della celeberrima “Naturalis historia”.

Uno spettacolo squallido e surreale: persone intente a rovistare i rifiuti galleggianti in un’acqua fetida e melmosa.

Già allora Plinio denunciava le deformazioni ambientali a seguito di interventi umani (N. H.,VII, 1-5): prosciugamenti delle acque, massicci disboscamenti e alterazioni profonde della morfologia del terreno, profetizzandone gli effetti disastrosi. Ma anche allora, come oggi, i lavori non si arrestavano di fronte a nulla: neppure di fronte alla sacralità di luoghi legati a remotissime tradizioni religiose, quale il prosciugamento del Fucino, o il disboscamento del lago d’Averno in area cumana. La violazione della natura trova in Plinio uno dei primi portavoce. È impressionante quanto attuali e uguali alle nostre furono le sue preoccupazioni: “Noi inquiniamo sia i fiumi che gli elementi della natura, e rendiamo dannosa l’aria stessa che respiriamo” (N. H., XVIII, 3-4).

Fabbriche asiatiche, senza controllo vomitano i loro veleni nello spazio. Nell’Asia-Pacifico l’80% dei fiumi è inquinato; 1,8 milioni di morti ogni anno in Cina, dove in 100 milioni bevono acqua avvelenata; l’India, dove da tempo si discute su come arginare l’intossicazione delle acque sacre del fiume Gange; il Pakistan, teatro della più grande intossicazione di massa da arsenico lungo le sponde del fiume Indo; il Bangladesh, dove si registrano 43mila morti ogni anno; il Vietnam, che con l’industria dell’acciaio Formosa Group contamina mare e fiumi; la Thailandia, tra i Paesi che più sversano la plastica nei mari.

Per l’antico naturalista, è soprattutto in ambito minerario che l’alterazione si muta in profanazione, provocando l’indignata reazione delle forze naturali. Va sottolineato che per Plinio, molto più vicino ad una società sacrale, la Natura era concepita quale espressione concreta di un Principio: la Terra come “sacra parens”, una Grande madre, per cui squarciare la terra equivaleva a vituperarla, profanarla. Plinio continua: “Tentiamo di raggiungere tutte le fibre intime della terra e viviamo sopra le cavità che vi abbiamo prodotto, meravigliandoci che talvolta essa si spalanchi o si metta a tremare, tant’è l’indignazione della nostra sacra genitrice (la Terra, n.r.). Penetriamo sempre più nelle sue viscere e cerchiamo ricchezze nella sede dei Mani. E fra tutti gli oggetti della nostra ricerca pochissimi sono destinati a produrre rimedi medicinali: quanti infatti sono quelli che scavano avendo come scopo la medicina?”, Queste sono osservazioni fatte duemila anni fa…

Veramente impressionante! Plinio, non condanna l’estrazione dei metalli, poiché la natura li ha creati in funzione dell’uomo. Quel che Plinio condanna è la dissennata opera di ricerca dei metalli che comporta la frantumazione delle rocce e la disgregazione delle montagne: perché diversamente dai metalli, le montagne, la natura le ha create per sé: “Come una sorta di scheletro che serve a consolidare le visceri della terra e nel contempo frenare l’impeto dei fiumi e frangere i flutti marini, nonché stabilizzare gli elementi più turbolenti con l’aiuto della loro solidissima materia” (N.H., XXXVI, 1). Ho proposto questo lungo riferimento a Plinio il Vecchio In considerazione di un problema vecchio come il mondo, ma pur sempre attuale. Nulla è cambiato dai tempi di Plinio, se non peggiorato. Ignorando ogni equilibrio e misura, oggigiorno viviamo vere e proprie aberranti attività nocive all’ambiente.

L’estremo saluto alla “Grande Madre’; desolazione e sgomento: uno sparuto gruppo di amerindiani celebra la natura sotto un cielo plumbeo, mentre il resto del mondo, stordito dalla civiltà di consumo, sta a guardare!

Di fronte all’attuale desolazione, le multinazionali responsabili di inquinamenti e sfruttamenti selvaggi del pianeta, si giustificano ricorrendo al fabbisogno di una popolazione sempre più numerosa ed esigente. Il problema di fondo risiede nell’egoismo e nell’irresponsabilità a tutti i livelli, dal produttore al consumatore. Ignavi, assistiamo a sboscamenti selvaggi del “polmone verde della terra”, la Foresta dell’amazzonia, per far posto a nuovi pascoli. Siamo arrivati a sempre più frequenti falde freatiche inquinate, dovute a massicce quantità di escrementi prodotti da allevamenti intensivi, da concimi e medicinali, o dalle fogne delle megalopoli. E il mare, i nostri oceani, diventati pattumiere sulla scia di interminabili convogli di “containers”; sempre più coste e spiagge invase da melma di catrame e nafta, ove agonizzano, fra carcasse putrefacenti, uccelli marini e pesci. Le montagne, cattedrali della terra, selvaggiamente disboscate o squarciate per la produzione di laterizi, marmi o graniti; nelle campagne e nelle città corrono fiumi dalle acque mortifere. Finanche la pioggia estiva, una volta rifrescante e aspettata come “benedizione” è diventata nociva, poiché composta da “acque acide”, effetto di un’atmosfera super inquinata.

La lista sarebbe lunga… Il nostro pianeta è diventato tanto piccolo, che in un futuro non lontano sono considerate altre fonti minerarie o energetiche al di là dalla Terra. E non è fantascienza; la nostra cupidigia guarda ad altri pianeti. Dopo aver dissacrato la Terra, ora è la volta dei cieli e dello spazio! Uno spazio che la nostra ignoranza considera: INFINITO, quando, in realtà, è semplicemente: INDEFINITO! Cosa ci riserva il futuro? Abbiamo forse addentato il frutto proibito?

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