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Il pungolo di Pietro Lucca: dalla Pentola di bronzo al Tripode, dall’Atanor al Graal

Per alcuni lettori, i termini del titolo sembrano aver poco in comune, oltre che ad essere sinonimi di ricettacoli. Invece, se considerati nella loro accezione originaria, si tratta di “recipienti sacri”, che segnano gradi e tipi di civiltà. Trattando l’universo superstizioso nel capitolo sulle streghe-janare, ho appena accennato ad alcuni simboli (Calderone e Scopa, ecc.), legati a queste leggendarie entità dell’universo superstizioso della Penisola.

Poiché i simboli accennati rivestono valori archetipali, val la pena (sempre volgarizzando succintamente) soffermarsi sull’origine di alcuni di essi. Questo perché, da soli, simboleggiano un pathos, anch’esso riflesso di un particolare tipo di civiltà, sconfinando nella protostoria. Consideriamo il primo esempio: la Pentola di bronzo, quale simbolo antesignano del Lebete tribotato. Sin dalla preistoria europea, la Pentola di bronzo fu l’oggetto cultuale attorno al quale si svolgeva la vita; essa segna fasi di un percorso spirituale: da una civiltà tellurica e lunare matriarcale, a quella solare e olimpica patriarcale.

“Iaron Dios”, sacro a Zeus, leggiamo sul bordo di un Lebete tripodato, al museo di Olimpia. Zeus o Giove, non era una Divinità despota e prepotente, ma divinità del cielo e principio supremo organizzatore. Ecco spiegato il significato dei tanti attributi conferiti a Giove, tra i quali: “Jupiter optimus maximus”, o “Jupiter Pater”, ecc. Ossia principio ordinatore di ogni forma manifestata, che tutto equilibra. Ecco anche spiegato il confronto tra il principio olimpico e quello caotico: tra i due “naviga l’umana gente”.

L’antica Pentola di bronzo matriarcale si scontrò violentemente con i nuovi arrivati, i “Re pastori” indoariani. Ma alla fine, questi ultimi, integrarono la Pentola di bronzo al loro Tripode; per cui aspetti tellurici e lunari si amalgamarono, armonizzandosi in seno alla civiltà solare degli indoeuropei. Perciò, al fine di poter capire la natura e l’origine di alcuni aspetti religiosi diventati superstizioni, è necessario riferirsi al tipo di civiltà che li ha espressi, ossia alla situazione politica e religiosa dell’Europa prima dell’arrivo degli indoariani (X s. a C.). Dai reperti (pentole di bronzo, vasi, ecc.) e dai miti adombrati nelle antichissime cosmogonie preindoariane, sopravvissuti nella mitologia del mondo classico (popolo delle amazzoni, ecc.), le credenze religiose di queste società erano omogenee e basate sul culto di una Grande Dea Madre dai molti appellativi.

L’antica Europa non aveva Dei, aveva una Grande Madre, considerata immortale, immutabile e onnipotente. Il concetto della paternità non era stato introdotto nel pensiero religioso, tutto ruotava intorno all’idea elementare di un matriarcato. Jakob Bachofen (1815-1887), celebre storico e antropologo tedesco, nel suo celeberrimo “Le madri e la virilità olimpica-Studi sul matriarcato nell’antico mondo mediterraneo”, sostiene che prima dell’arrivo degli indoariani con le loro cavalcature, i cavalli, la società europea viveva di valori ginecocratici.

A capo regnava una Grande Madre, la quale sceglieva gli amanti per soddisfare il suo piacere e per perpetuare la vita, non per dare un padre ai suoi figli. Ne conseguiva una promiscuità, ove non era considerata la figura del padre. In seno a tali società, il maschio era considerato un semplice accessorio. Le matriarche, emulazione e riflesso della Grande Madre, erano temute, riverite e ubbidite, poiché conoscitrici di erbe taumaturgiche, detentrici di formule magiche, del mistero della vita e della procreazione. Come Gea (la terra), essa accoglieva il seme nel suo grembo e lo faceva rinascere, morire e rigenerare tramite il passare delle diverse stagioni; come la luna calante, la luna crescente e la luna nuova. L’altare della Grande Madre era una grotta o una capanna, con un focolare continuamente alimentato dalle matriarche.

La Pentola, oggetto cultuale, simboleggiava la loro natura: fucina e sintesi del mistero della vita. Furono questi elementi a costituire il loro primo centro sociale, e la maternità il loro primo mistero. D’improvviso, intorno agli anni 1000 a.C., due tipi di civiltà cozzarono violentemente: quella ginecocratica, matriarcale e lunare, preindoeuropea e quella solare e patriarcale dei nuovi arrivati, gli indoariani. Con questi ultimi, alla PENTOLA di bronzo venne aggiunto il TRIPODE sacro dedicato agli dei olimpici e solari.

Ma se la Pentola di bronzo divenne sacro Tripode dedicato agli Dei solari, la sua funzione primigenia quale simbolo misterico lunare rimase, per cui l’ardere del fuoco quale “fucina quintessenziale” restò prerogativa sociale femminea. Ci si è mai chiesti perché nell’antica Roma patriarcale, i primi sacrifici effettuati dallo stato venivano offerti a Vesta? Perché era la più antica Dea, Estia, poi soppiantata con Vesta da culti maggiori, ma sempre rimasta in auge, e le sue vestali, guardiane della “sacra fiamma”, erano di tutto rispetto; i littori abbassavano i fasci solo in due occasioni: di fronte all’Imperatore e di fronte alle vestali! Vi è che il mondo classico, pur essendo patriarcale, solare e agli antipodi di una società ginecocratica e lunare, non rigettò completamene l’aspetto lunare della vita, né ripudiò alcuni aspetti pelasgici e tellurici.

Il mondo classico integrò la figura della Grande Madre a quella di Tellus Mater, non in funzione diminuita, ma avente virtù olimpiche complementari, quale riflesso immanente di una stessa fonte di luce. Stessa cosa avvenne col principio dell’ “auctoritas”: la promiscuità (assenza del padre) all’origine della procreazione fu “ordinata”, per riflesso di un ordine celeste, da principii solari: il sole, quale centro supremo e fonte spirituale, e la luna, quale fonte di vita e luce nella notte.

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