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Il pungolo di Pietro Lucca. Dalla Grande madre alla Grande vedova

Sin dai tempi immemori, l’Umanità, contemplando il cielo o il firmamento di notti stellate, si è sempre posto tre domande: “Chi sono, da dove vengo e dove vado”? Di una sola cosa è sempre stata certa: il fluire del tempo, il tempo una volta concepito quale eterno moto che tutto trasforma, consuma; “accende, spegne e riaccende”; gran fiume, ove eterne corrono acque “rinnovate” dalle “fonti”. È il Samsara dei Vedanta della saggezza indoariana, il tempo ciclico dell’ “eterno ritorno”, di “nascita e rinascita” di eleidiana memoria. Purtroppo, nel millenario processo di allontanamento dalla Tradizione, siamo entrati nel tempo “lineare”, quello del “regno della quantità” di cui parla il Guenon, scandito non da cicli ma dall’orologio, ove “le acque non tornano più”.

Lontani da una visione ciclica, ci ritroviamo soli in uno squallido crepuscolo in balìa di un tempo lineare senza ritorno; quel che farà dire a W. Shakespeare ne “Il Tempo divoratore” (sonetto 019): “Tempo, non scolpire le tue ore sulla fronte del mio amore, non segnarvi linee con la tua grottesca penna”. Oppure il nostro Leopardi sul sapere nel tempo: “L’ultimo grado del sapere consiste in conoscere che tutto quello che noi cercavamo era davanti a noi, ci stava tra’ piedi, l’avessimo saputo, e lo sapevamo già, senza studio: anzi lo studio solo e il voler sapere, ci ha impedito di saperlo e di vederlo; il cercarlo ci ha impedito di trovarlo” (Aggiungo: più che “davanti a noi”, il sapere era ed è da scoprire dentro di noi!). Vale a dire che oggi, l’interesse dell’Uomo/Donna, non più centrato nella ricerca interiore, li ritrova invece orfani, figli della “Vedova”, smarriti e delusi.

Nel processo di sfaldamento dei valori, sempre più l’uomo e la donna hanno concepito la loro natura come parte autonoma, non più risalente ad un’unità spirituale originaria composta da due “complementi”. Quanto lontani siamo da Chrétien Troyes, quando nel banchetto del Re Pescatore, riporta significativamente che: “…un graal antre ses deus mains / une dameisele tenoit» (un graal tra le sue due mani /una damigella teneva); qui il Graal quale principio e fonte misterica primordiale, di cui la “Damigella” è custode.

Ricorro frettolosamente alla letteratura “cortese” e al ciclo del Graal, poiché, tra l’altro, testimonia un rapporto simbolico ideale tra il Cavaliere e la Dama, o meglio: tra l’eterno femminile e quello maschile. Il simbolo del Graal tocca tutta l’esperienza umana e sociale tradizionale, collegandola ad un’unità primordiale. Questo vuol dire che non sarà il confronto dei sessi a stabilire un equilibrio spirituale ed esistenziale tra uomo e donna. L’attuale, continuo moto di rottura e contrasto tra uomo e donna non sono parentesi o contingenze storiche e sociali, ma piuttosto conseguenze logiche in quanto effetti di errati percorsi sociali e religiosi. Un moto continuo di allontanamento da una fonte originaria più che umana, giunto al parossismo, “malefico frutto”, si è inesorabilmente insinuato nella Coppia, scardinando il principio spirituale dell’Unità primordiale. Risultato? Una inesorabile scissione di ciò che originalmente era concepito quale stato di unità essenziale, composto da due complementarità; due principi “necessari del manifestato”.

La situazione è diventata talmente assurda da trovarci di fronte all’eterno: “chi è nato prima, la gallina o l’uovo?” Questo perché, “relitti nel tempo”, diventati incapaci di una visione superiore dell’esistenza. Da ciò le mille interpretazioni, i mille dissidi fra i due sessi. Vi è che l’Uomo/Donna moderni, più che essere vittime di una crisi, ne sono invece loro stessi la causa, illudendosi in uno squallore elementare di parte, allontanandosi da una “centralità” spirituale e unificatrice dei complementi quali essi sono; più che confronto andrebbe perseguita la ricerca e l’Unità essenziale dei due. Sono invece maturate illusorie e patetiche convinzioni ove l’Uomo ignora la Madre-Femmina che gli ha dato la vita, e la Donna che disconosce la natura del Padre-Maschio che l’ha generata.

Questa aberrazione è ancora più manifesta nei nostri giorni, se si considera che la Madre, culla e custode, già concepita come “Calice della vita”, è scaduta, come il Padre, a mero strumento riproduttivo, fino a non esitare, contravvenendo alla sua stessa natura, a distruggere il proprio feto; cosa che nessun animale osa fare. Questo perché l’Uomo/Donna moderno percepisce la propria natura, alla luce di un concetto materialista, che scarta a priori ogni altra visione alternativa sulla natura umana. Per cui, la causa prima di questa rottura o scissione è attribuibile ad una particolare visione dominata dalla logica materialista. Invece, al di là del mondo fisico, su tutto il manifestato agiscono forze invisibili immanenti e determinanti.

La Tradizione insegna che il matriarcato/patriarcato vanno considerati come rottura e scissione da uno stato spirituale primordiale; quindi, non più coppia generatrice originaria, ma stato di vedovanza per ambedue; uno smarrimento e una caduta nell’elementare, ove precipitiamo sempre più vertiginosamente. Le civiltà tradizionali attraverso simboli “archetipali”, in questo caso il Graal, hanno espresso percorsi e fasi spirituali di cui non resta che l’enigmatico “Sorriso dell’Androgine primordiale”.

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