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Il potere logora chi ce l’ha

IL PUNTO di Vittorio Giordano

‘Il potere logora chi non ce l’ha’, amava ripetere Giulio Andreotti, personaggio-simbolo della Democrazia Cristiana e, per antonomasia, della Prima Repubblica italiana. Evidentemente, in Canada, il potere logora anche chi ce l’ha. È il caso del Primo Ministro Justin Trudeau, che, a Ferragosto, nel bel mezzo dell’estate e delle ferie per molti ancora in corso, con la quarta ondata della pandemia ormai alle porte (nonostante i vaccini) ed il mondo alle prese con la rediviva minaccia talebana (e la drammatica crisi umanitaria che sta per abbattersi sull’Afghanistan), ha convinto la neo Governatrice generale di indire le elezioni anticipate per lunedì 20 settembre. (Perchè poi si voti in un giorno lavorativo, piuttosto che di domenica, resta un mistero indecifrabile tutto canadese). Una chiamata alle urne di cui nessuno, tranne Trudeau naturalmente, avvertiva la necessità. La giustificazione avanzata dal leader liberale non convince: dopo 2 anni di gestione della pandemia, «spetta ai Canadesi stabilire come portare a termine la lotta al Covid-19 e come far ripartire il Paese. Hanno il diritto di esprimersi», ha sottolineato il leader liberale. Ci risulta che i Canadesi si siano espressi meno di 2 anni fa – era il 21 ottobre del 2019 – affidando a Trudeau il compito di formare un governo minoritario (potendo contare su 157 seggi, rispetto ai 181 appannaggio dei partiti di opposizione). Il messaggio è stato chiaro: affidiamo la guida del Paese a Trudeau, ma senza carta bianca: sui singoli provvedimenti, preferiamo che si confronti con gli altri partiti. Una scelta legittima, tanto che 4, delle ultime 6 elezioni, hanno partorito governi di minoranza. Un esito che Trudeau, sentendosi un leader dimezzato, non ha mai davvero accettato. Un disagio acuito dalla pandemia, un evento raro e imprevedibile, ma la cui gestione rientra tra le prerogative di qualsiasi governo democraticamente eletto. E così, con il pretesto dell’ostruzionismo delle opposizioni in Parlamento (sebbene ci risulti che il governo abbia legiferato senza troppi intoppi, grazie al sostegno spesso incondizionato dell’NDP), sulle ali della popolarità certificata dai sondaggi e mirando a capitalizzare il massiccio sostegno pubblico fornito ai cittadini (con la PCU) ed alle imprese (con il sussidio agli affitti), Trudeau ha forzato la mano, ed i tempi, per consolidare il suo potere puntando su un governo maggioritario. As simple as that. Naturalmente, il fine giustifica i mezzi. E così, il Canada spenderà 612 milioni di fondi pubblici (100 milioni in più, rispetto all’ultima volta) per mettere in moto la macchina elettorale. Poco importa se, nel frattempo, il deficit per il 2020/21 sia deflagrato a 354 miliardi e se il debito pubblico sia esploso a 1079 miliardi, il 49% del Prodotto Interno Lordo. ‘Quisquilie’, direbbe Totò. Fermo restando il diritto costituzionale di Trudeau di porre fine alla legislatura, resta la sensazione di un voto forzato, sicuramente né essenziale né pertinente, che assume più le sembianze di un referendum sulla sua gestione della pandemia. Trudeau scommette sulla generosità dei suoi programmi di sostegno, per ottenere la giusta ricompensa dai cittadini-beneficiari. Un rischio calcolato, forse rischioso e inopportuno, ma che alla fine dovrebbe premiarlo, anche per la manifesta inferiorità degli avversari politici. I leader dell’opposizione, infatti, continuano ad annaspare: O’Toole è freddo e poco carismatico, Yves-François Blanchet è solido e persuasivo, ma limitato ai confini identitari della Belle Province, mentre Jagmeet Singh fa demagogia con proposte anti-economiche da Repubblica socialista. Alla fine, a spuntarla potrebbe essere proprio chi, logorato dal potere, ha sparigliato le carte per avere ancora più potere: Justin Trudeau.

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