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Il glorioso Cappello alpino origina da un anelito di libertà

Il cappello è il simbolo più importante degli Alpini. È composto da molti elementi atti a rappresentare il grado, il battaglione, il reggimento e la specialità di appartenenza. Il cappello per l’alpino è sacro. La penna è lunga 25-30 cm, è portata sul lato sinistro del cappello, leggermente inclinata all’indietro. È di corvo, nera, per la truppa, di aquila, marrone, per i sottufficiali e gli ufficiali inferiori.

Nella prima immagine un felice connubio: Il Cappello, la Penna, le Stelle alpine e il Tricolore. Quattro elementi, quattro simboli che messi insieme riflettono un simbolo e una dimensione maturata e plasmata nell’ambito di un clima sociale particolare: il Risorgimento italiano. Nella seconda immagine, il celebre “Bacio” di Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882) sicuramente, e non a torto, è diventato il manifesto del Romanticismo e del Risorgimento italiano; l’uomo, che appassionatamente bacia la fanciulla, rappresenta l’ardore del Patriota per la causa unitaria e la fanciulla rappresenta l’Italia. Il verdone del risvolto del mantello e del “terribile cappello” alla calabrese o alla Ernani, il rosso della calzamaglia dell’uomo e la sciarpa bianca scivolata sulle scale evocano il Tricolore. Oggi è il cappello arborato dai nostri alpini a ricordare la vicenda di un simbolo e di una tradizione di Storia Patria.

Di oca, bianca, per gli ufficiali superiori e i generali. La nappina è il dischetto in lana sul quale viene infilata la penna. In origine il colore della nappina distingueva i battaglioni all’interno di ciascun reggimento. Pochi sono al corrente che il famoso cappello fieramente ostentato dalle nostre truppe alpine, origina da un copricapo chiamato “Cappello alla calabrese”. Questo perché durante i moti anti-borbonici del 44’, i calabresi si distinsero con un cappello a foggia strana con una penna, ma che in breve tempo divenne il simbolo della resistenza all’oppressore, nonché segno di riconoscimento tra i cospiratori. Tale singolare copricapo fu presto proibito dalle polizie borboniche, austriache e papaline, perché ritenuto simbolo “sovversivo”.

Ma ormai il via era stato dato e, come a macchia d’olio, sulla penisola appariva un copricapo che annunciava altri moti rivoluzionari. Ad alimentare la ventata risorgimentale concorse anche Victor Hugo con il suo “Ernani”, ove descriveva le vicende di un eroico bandito (brigante) che combatteva contro l’ingiustizia e la tirannide spagnola. Il soggetto piacque a Verdi che lo interpretò musicalmente con la sua opera omonima del 1844. Il costumista ideò per il bandito un cappello dalle larghe tese, di cui una era ripiegata verso l’alto, adornato da una penna. Di qui, il cappello alla calabrese assunse anche il nome alla “Ernani”.

Presto, il barone Torresani Lanzenfeld, della polizia di Milano dell’impero Asburgico, considerandolo simbolo “sovversivo”, lo bandì sin dal 15 febbraio 1948. Ma i milanesi, beffeggiandosi del decreto, modificarono il “cappello patriota o alla calabrese; la penna, simbolo di libertà, già ornava il “terribile” copricapo e ai milanesi non restò che sollevare lateralmente la tesa ove continuò a spiccare la fatidica penna. Cosicché, durante le turbolenti Cinque giornate di Milano, numerosissimi furono questi copricapo sulla testa di uomini e donne, abbelliti da coccarde. La bombetta degli alpini apparve nel 1873 e nella sua foggia ricalcò il Cappello alla Calabrese o alla “Ernani”.

Così un copricapo militare, forse unico nella storia d’Italia, trae origine da un’unica aspirazione…un’unica “speme” di libertà, di tutto un popolo, dalle Alpi alla Sicilia…..quel che fa dell’Alpino e il suo Cappello una figura militare cara a tutti gli italiani…forse perciò per l’Alpino il suo cappello è sacro quanto la Bandiera!

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