IL PUNTO di Vittorio Giordano
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, recita un adagio latino, tanto antico quanto attuale, che sintetizza al meglio il vicolo cieco in cui si è cacciato il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau. Un femminista convinto tradito da quelle stesse donne che ha voluto ostinatamente al governo, in nome di quella parità di genere sul cui altare ha sacrificato qualsiasi altra discriminante: come la competenza, il talento e l’esperienza. “Perché siamo nel 2015”, la giustificazione di Trudeau al momento dell’annuncio del suo primo esecutivo formato rigorosamente da 15 uomini e 15 donne. Uno scopo nobile e condivisibile, che a posteriori, però, ha assunto sempre più i contorni di una forzatura, di una parità disuguale, di una vera e propria ‘dittatura di genere’. Del resto, su 184 deputati liberali eletti in Parlamento, solo 50 sono espressione del ‘gentil sesso’, ovvero il 30%. Riprodurre la stessa proporzione anche nell’esecutivo non sarebbe stato un delitto di Lesa Maestà. Ma Trudeau ne ha fatto la “conditio-sine-qua-non” della sua ideologia politica: rinnergarla avrebbe significato tradire i suoi elettori. Salvo poi ritrovarsi, a 8 mesi dalle elezioni federali, con la ‘bomba a orologeria’ dell’affare SNC-Lavalin innescata dall’ex Ministra della Giustizia e Procuratrice generale, Jody Wilson-Raybould, l’unica donna indigena (di origini Kwakwaka’wakw) del governo liberale. Lo stesso governo che dal primo istante si è speso per la riconciliazione con i popoli autoctoni, in nome del multiculturalismo. Eppure, paradossalmente, proprio una donna autoctona lo ha “pugnalato alle spalle”, insieme ad un’altra esponente liberale del gentil sesso: Jane Philpott, l’ormai ex presidente del Consiglio del Tesoro, che si è dimessa per aver perso fiducia nel governo. Come se non bastasse, ci ha pensato un’altra parlamentare-donna a deteriorare l’immagine già compromessa del leader liberale, in preoccupante calo di consensi secondo gli ultimi sondaggi: la settimana scorsa, infatti, la deputata Celina Caesar-Chavannes ha denunciato pubblicamente l’ostilità e la rabbia del Primo Ministro quando, per telefono, gli ha preannunciato l’intenzione di non ricandidarsi alle elezioni del prossimo 21 ottobre. Una vera e propria “congiura” femminista, che si è consumata alle idi di marzo, come successe con Caio Cassio e Marco Bruto contro Giulio Cesare. “Trudeau ama a tal punto le donne – scrive l’analista politica Denise Bombardier sul Journal de Montréal – da nominarne alcune come Ministre, solo perché donne”. E fa nomi e cognomi: “Pensiamo in particolare a Mélanie Joly, il cui lavoro al Ministero dei Beni culturali è stato triste, e a Maryam Monsef, la cui inesperienza al dicastero delle Istituzioni democratiche è apparsa subito evidente”. Per salvare il salvabile, nei giorni scorsi, Justin ha evocato perfino il nome del padre Pierre Elliott come “paladino della giustizia”. Non lo aveva mai fatto prima, per evitare di “subire” l’ingombrante luce riflessa dell’autorevole genitore, che ha segnato la storia del Paese (celebre la frase “Just watch me” in occasione della crisi di ottobre del 1970). Uno statista carismatico che le donne idolatravano. E che non avrebbero mai osato tradire. Ma quelli erano altri tempi…