Il “New York Times” è diventato un giornale illeggibile. Me ne sono reso conto da quando ho cominciato ad accumulare sezioni del giornale senza averle lette. Tradizionalmente ho sempre acquistato l’edizione domenicale che, tra le nove sezioni, include il Magazine ed il Book Review.
Naturalmente sfoglio tutto il giornale, ma poi finisco per metterlo da parte perché gli articoli sono troppo lunghi, oppure incomprensibili o non interessanti. La speranza è che, trovando un pò di tempo extra durante la settimana, possa tornare a riguardarlo con occhio meno critico. Ma non c’è niente da fare, dopo una settimana la pila di carta finisce diritta nel cestino del riciclo (che nella mia zona di New York City viene ritirato di venerdì).
Anche la sezione Book Review, in passato una delle migliori, se non la migliore, raccolta di recensioni dei nuovi libri, ultimamente non presenta mai libri di cui, se non interessato ad acquistarli, sarei propenso a leggerne la recensione.
E pensare che anni fa, il Book Review del “New York Times” era così apprezzato che regalavo i suoi abbonamenti annuali a parenti e amici.
Essendo un patito della carta stampata, ho sostituito recentemente il “New York Times” con il “Wall Street Journal”, che ha due anime: quella giornalistica, molto interessate, informativa ed equilibrata, e quella dei commenti, molto reazionaria (al seguito della rete televisiva FOX che fa parte dello stesso gruppo).
Per evitare i commenti basta ignorare solamente tre pagine, mentre il resto del giornale, che si compone di due, tre sezioni nei giorni feriali e quattro sezioni al sabato (il “WSJ” non pubblica di domenica), offre articoli brevi ma esaurienti, di interesse pratico e scritti in un linguaggio discorsivo che invoglia a leggerli completamente.
Alla fine arriva la rivelazione dall’alto. Lo scorso 16 dicembre un lunghissimo articolo di James Bennet sul settimanale britannico “The Economist” ha messo tutto in prospettiva. Bennet è l’ex direttore delle pagine dei commenti del “New York Times” (che loro chiamano Op-Ed page), ed ora scrive per “The Economist”.
Bennet era stato licenziato dal “Times” nell’estate del 2020 perché aveva ospitato un articolo del senatore repubblicano dello stato dell’Arkansas, Tom Cotton, considerato troppo di destra. Bennet lo aveva giustificato come un articolo che compensava le molteplici posizioni spinte di sinistra del quotidiano. Contro Bennet ci si mise pure la NewsGuild-CWA, il sindacato dei giornalisti, che conta 1.500 iscritti del “Times” su un totale di 26,000 iscritti, occupati in 300 società di media americane.
Nell’articolo, Bennet afferma che oggi “negli Usa i media seguono la pista del denaro offrendo ad un pubblico partigiano la versione della realtà che preferiscono”.
Allo stesso tempo, però, cita il suo ex capo al “Times”, Dean Baquet, che riconosce “come il ‘Times’ non comprende i punti di vista di molti americani”.
L’articolo di Bennet rende chiaro il motivo per cui il “Times” non è più’ leggibile, il che è un vero peccato, se lo si paragona al “Times” di appena un decennio fa (con l’esclusione della sezione “Sport” che è stata sempre illeggibile ed ora non più parte del giornale).