La guerra in Ucraina, che sta sconvolgendo l’intero pianeta, mi obbliga ad una pausa dei miei racconti di viaggio. Mi sembra giusto dedicare qualche frase al popolo di questa nazione martoriata e caparbiamente attaccato alla terra tanto da offrire il massimo sacrificio per difenderla: la vita.
Qualche giorno fa, al teatro greco di Siracusa, un gruppo di 65 elementi si è esibito in una rappresentazione di canti e danze popolari ucraini. La rappresentazione ha fatto conoscere il folklore, che, come le nostre danze popolari, esprime la realtà più genuina della vita degli abitanti di un paese. Sospettavo una certa analogia al folklore russo, d’altronde fino a poco tempo fa i due popoli condividevano gli stessi costumi, in molte zone la stessa lingua e gli stessi nomi. La vicinanza con i Cosacchi (popoli delle steppe ucraine) ha anch’essa esercitato un’influenza sui loro costumi. Com’è cambiata l’opinione adesso! Gli Ucraini si rifiutano di parlare il russo, i nomi delle persone riprendono l’ortografia originale, i fedeli a Keirin, patriarca della chiesa ortodossa russa, sono ora quasi tutti devoti al patriarca di Costantinopoli e alcune delle meravigliose città sono state cancellate dalla carta geografica.
La banda di eccellenti musicisti ha introdotto lo spettacolo con un canto che andava da un ritmo allegro ad una melodia triste. I coristi, che hanno poi volteggiato da esperti danzatori-acrobati, hanno fatto il loro ingresso nei costumi colorati, cambiandoli di volta in volta, forse a seconda della provenienza geografica della melodia; lo spettacolo ha coinvolto tutti i numerosi spettatori.
Le voci possenti degli uomini e delle donne del coro hanno parlato della resistenza ad oltranza all’attacco del nemico, le melodie più dolci hanno fatto rivedere le immagini delle madri con in braccio i loro figli nel disperato tentativo di proteggerli dalle bombe, il suono di un violino ha descritto i campi di grano, il rullo dei tamburi ha imitato l’esplosione dei missili. Nell’aria si avvertiva la vitalità e la sorte di Kiev, Mariupol, Odessa; si disegnavano le immagini che la televisione ci ha mostrato: edifici distrutti, ferraglia di macchine schiacciate dai carrarmati, campi di grano devastati, scheletri di industrie e soprattutto gente che fuggiva, cadaveri abbandonati per le strade, l’orma crudele della guerra.
Il momento più emozionante è arrivato alla fine. Appena le prime note dell’inno hanno riempito il teatro, tutti gli spettatori ci siamo alzati; avevamo capito che i sessantacinque artisti stavano intonando l’inno ucraino. È stato un momento magico; la commozione era evidente negli occhi degli spettatori. Un applauso scrosciante e lunghissimo ha salutato quel meraviglioso popolo.