Tra le tante manifestazioni della genialità italiana non potevamo trascurare le grandi opere cinematografiche apparse sullo schermo sia prima che dopo l’avvento del colore. La prima apparizione delle immagini in bianco e nero proiettate sugli schermi affascinava gli spettatori con la sua semplicità di espressione nella descrizione di realtà e sentimenti nuovi; a volte storie e paesaggi di paesi lontani, a volte la cruda realtà del quotidiano. Il colore introdusse un elemento nuovo e trovò subito l’entusiasmo di pubblico e di critica. Negli anni trenta, il suono e la musica completarono questa nuova arte come la conosciamo adesso.
Già nel 1895 Filoteo Alberini perfezionava la macchina da presa e nascevano i primi cortometraggi: “Arrivo del treno alla stazione di Milano” (1896), “La battaglia di neve” (1896) e molti altri girati da Italo Pacchioni.
Nel dopoguerra nacque in Italia il cinema neorealista, che raggiunse un prestigio internazionale con le grandi opere del Cinema d’Autore e della Commedia all’Italiana.
Vittorio De Sica e Cesare Zavattini realizzarono “I bambini ci guardano” nel 1943, iniziando la fase del Neorealismo. Vennero in seguito “La porta del cielo” e “Sciuscià”, film altamente emotivi che riuscivano a coinvolgere lo spettatore con le loro storie reali sconcertanti. Menzioniamo “Ladri di biciclette”, magistralmente diretto da De Sica, che impiegò attori non professionisti.
Luchino Visconti diresse “Ossessione”, dramma psicologico divenuto il classico da studiare. Successivamente con “La terra trema”, oltre ad usare attori non professionisti, introdusse anche il dialetto. Il film narra la lotta di classe di una comunità di pescatori, realtà che purtroppo non riuscì a coinvolgere il pubblico.
Pietro Germi diresse “Il ferroviere” (1956), partecipandovi anche come attore.
Luigi Comencini e Dino Risi ebbero un grande successo con i loro film “Pane, amore e fantasia” e “Poveri ma belli”, seguiti da altri con la stessa tessitura sociale e la stessa ironia sottile che li distingue.
Al declino del Neorealismo succede il film di introspezione e psicologia. Michelangelo Antonioni è il capostipite del cinema contemporaneo con “Cronaca di un amore”.
“L’avventura”, “La notte” e “L’eclissi” affrontano i temi dell’incomunicabilità e del disagio esistenziale. Fondamentale è il ruolo di Monica Vitti. Seguono gli straordinari capolavori degli anni ‘60: “Deserto rosso”, “Blow-up”, “Zabriskie Point” e “Professione reporter”.
Pier Paolo Pasolini esordisce con l’ “Accattone”. I suoi film generano controversie a causa degli argomenti trattati e dei protagonisti di ambigua moralità come in “Teorema”, “Il Vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci e uccellini”, i “Racconti di Canterbury”.
Tra i registi più importanti degli anni ‘60 e ‘70, citiamo Mauro Bolognini e Marco Bellocchio che diresse “I pugni in tasca” (1965), “La Cina è vicina” (1967), “Nel nome del padre” (1972), “Sbatti il mostro in prima pagina”.
Ricordiamo Bernardo Bertolucci, che studiò le emozioni dell’uomo generate dai mutamenti sociali. Nell’ “Ultimo tango a Parigi” diresse magistralmente Marlon Brando e Maria Schneider. Il film fu messo al rogo dalla Cassazione per i suoi contenuti erotici.
Molti altri registi e attori hanno reso grande il cinema italiano, purtroppo lo spazio e il tempo non ci permettono di menzionarli tutti.