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I neonatologi: “Contro le culle vuote un piano d’emergenza non misure spot”

(Adnkronos) – “Noi neonatologi siamo testimoni privilegiati” dell’inverno demografico che da anni stringe nella sua morsa l’Italia. “Tocchiamo con mano quello che sta succedendo. Purtroppo, nel 2021, per la prima volta nella storia il numero di nati è andato al di sotto dei 400mila nel nostro Paese, con una perdita di quasi il 30% negli ultimi 30 anni. Sono dei numeri davvero molto preoccupanti. E non c’è una ricetta magica per risolvere questo problema”. Ma quella delle culle vuote “è diventata ormai un’emergenza e come tale va trattata, nel senso che devono essere usati gli strumenti dell’emergenza. Chiediamo un piano, una commissione permanente che comprenda anche i rappresentanti delle società scientifiche e affronti in maniera profonda il problema anche con interventi emergenziali per modificare rapidamente il trend”. Per Luigi Orfeo, presidente della Società italiana di neonatologia (Sin), la parola d’ordine deve essere: “Aiuti concreti e strutturali, non misure spot”, dice all’Adnkronos Salute.  

In altre parole: l’inverno demografico va elevato a emergenza, come lo è stata la pandemia, anche se il numero di bebè che cala inesorabile da anni fa meno rumore di un virus. Per confrontarsi sul problema, i neonatologi hanno deciso di metterlo sotto i riflettori anche nel contesto del Congresso nazionale Sin in corso a Firenze. Orfeo prova ad analizzare cosa non è andato bene finora nelle soluzioni messe in campo. “Anche il Family Act – ragiona – è sì un primo tentativo un po’ più organico, ma utilizza quelli che sono i sistemi della legislazione corrente. E questa, lo ripeto, è un’emergenza sociale che ha bisogno del giusto mix di misure”.  

“Leggevo di indagini secondo cui portare un figlio fino all’università costa circa 700mila euro. Io faccio presente – rimarca – che ci sono delle esperienze fatte in altri Paesi che sono molto interessanti perché mirate a una rivoluzione concettuale: avere un figlio non più visto come un costo ma come risorsa”. Per questa rivoluzione concettuale è necessario “utilizzare la leva fiscale come succede in Francia, servono aiuti economici – elenca Orfeo – Poi, il secondo grande problema è quello della conciliazione fra famiglia e lavoro: analisi della Banca d’Italia ci dicono che più del 50% delle donne dopo il primo figlio modifica la propria attività lavorativa. Quindi serve fare in modo che non si siano penalizzazioni sul posto di lavoro per le donne, servono asili nido, e congedi parentali anche per i padri: in Italia siamo agli ultimi posti per l’utilizzo” dei congedi al maschile.  

“Questi gli interventi più immediati da realizzare”, prosegue il presidente dei neonatologi. “Ci vorrà del tempo. Va tenuto presente – precisa – che tutti gli interventi che vengono varati adesso probabilmente daranno dei risultati fra molti anni. La politica invece vorrebbe in qualche modo vedere il risultato immediato, ma non sarà così”. Quello che si è fatto finora non basta, evidenzia Orfeo. “L’assegno unico è un po’ un aiuto per chi i figli già ce li ha, ma credo che 30-50 euro al mese non facciano decidere di fare un figlio. Il problema è lavorare per chi i figli non li riesce a fare perché non riesce a trovare una stabilità economica, perché il lavoro è precario, perché non ci sono politiche per la casa e il lavoro”.  

Queste per lo specialista sono “le basi su cui poggiare un rilancio vero e proprio della natalità. Perché oggi noi abbiamo un problema su cui ci stiamo avvitando: ci sono poche donne in età fertile, perché il problema della denatalità dura da tanto, che fanno pochi figli e li fanno molto tardi. Abbiamo anche l’età media più alta al primo figlio, che arriva intorno quasi ai 33 anni. E’ evidente che, se una donna fa il primo figlio a 35-36 anni, poi è difficile e molto più improbabile che possa fare il secondo”.  

“Lo strumento del quoziente familiare in Francia ha ottenuto grandi risultati: più figli si fanno, meno tasse si pagano. Non parliamo quindi di 30 euro al mese, ma di svariate migliaia di euro all’anno. Soldi che si investono sui figli. La ricetta giusta”, secondo Orfeo, “è una miscela di aiuti economici, culturali, asili nido, congedi parentali, garanzie sul lavoro affinché le donne non vengano penalizzate. Ma devono esserci tutti gli ingredienti insieme”.  

“Al ministro Roccella chiederemo un incontro. La natalità non deve restare un’etichetta” 

“La famiglia in questi anni è stata utilizzata solo in maniera strumentale dalla politica. Si è parlato tanto e solamente del tipo di famiglia che si deve avere, come deve essere composta, ma aiuti reali non ce ne sono stati, se non qualche misura di tanto in tanto. Noi chiederemo di essere convocati dal nuovo ministro della Famiglia e della Natalità”, Eugenia Roccella, “per cercare di lavorare insieme. Quello che ci aspettiamo e speriamo è che non rimanga solo tutto legato al nome di un ministero, senza i fatti”, auspica Orfeo. 

L’esperto riflette sulle prospettive che si aprono: “Aver messo la parola Natalità” nella denominazione di un dicastero “qualcosa può significare. Ma qui si parla non solo di diritti, ma di aiuti concreti che saranno necessari. Vedremo. Se ci saranno delle azioni veramente a favore saremo le persone più contente del mondo. E ci sentiamo di lanciare un appello. Essendo testimoni privilegiati” del fenomeno culle vuote, “ed essendo a contatto con le giovani coppie e con i loro problemi, riteniamo di essere interlocutori importante anche per la politica. Chiediamo quindi di essere coinvolti nella risoluzione di questa problematica e nelle scelte che verranno fatte”, dice il numero uno della Sin.  

Quali sono i problemi delle giovani coppie, visti dal punto di osservazione dei neonatologi? “Noi vediamo che ormai non esiste più la famiglia allargata di una volta – analizza Orfeo – Molte di queste giovani coppie lavorano lontano dalle famiglie di origine e non ci sono servizi a cui possono affidare i bambini. I nonni magari vivono a 500 chilometri di distanza. I miei collaboratori, per esempio, sono calabresi, siciliani e abitano a Roma, e i loro genitori sono al Sud. Quando hanno un bimbo vanno in difficoltà. Gli asili nido non ci sono o sono molto cari o lontano da casa”. La società è cambiata, ragiona, le politiche per la famiglia no. “E c’è anche da considerare un altro problema, che è stato accertato: le famiglie con più figli sono un po’ più a rischio di povertà”. Elemento, evidenzia lo specialista, che non si può non considerare in questa fase di per sé economicamente difficile.  

C’è infine il tema sanitario con cui probabilmente il confronto sarà con il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “E’ chiaro che il calo delle nascite necessità poi di una ristrutturazione completa dei punti nascita italiani – precisa Orfeo – Se avevamo una struttura tarata per un milione di parti l’anno e ora ce ne sono 400mila, avremo tantissimi punti nascita troppo piccoli e con numeri troppo modesti. Noi così non abbiamo possibilità di garantire, per carenza di medici e specialisti, lo stesso tipo di sicurezza in tutte le strutture. C’è dunque un problema anche in questi termini, di ripensare la rete dei punti nascita e adeguarla a quella che è la realtà attuale”. 

Una materia da studiare in scuole e atenei
 

A svuotare le culle d’Italia contribuisce anche un fattore culturale? “In parte sì”, analizza Orfeo. “Noi, insieme anche alla società di ginecologia e ostetricia, abbiamo fatto attività anche di piazza incontrando la gente. C’è stato di recente un evento a Napoli e ce ne saranno altri in altre città principali del Paese – racconta – C’è bisogno di coinvolgere e sensibilizzare la popolazione, che forse non è sempre cosciente di quale sia il rischio di andare in questa direzione. Ma se il tema della natalità è anche un fatto culturale, io credo che noi dobbiamo entrare nelle scuole e nelle università. Bisogna spiegare ai ragazzi che esiste un’età biologica” e il momento di un figlio “non si può ritardare troppo”.  

Anche “sui media – riflette l’esperto – la natalità viene affrontata solo ogni tanto, ma poi ci sono dei temi che interessano di più” e hanno il sopravvento. Servirebbe anche una giornata dedicata, come fu nel 2016 il ‘Fertility day’ che suscitò però anche tante critiche? “In realtà – ricorda Orfeo – abbiamo gli Stati generali della natalità, che sono a Roma e l’anno scorso hanno ospitato anche il Papa”. Però è ai giovani che bisogna parlare, fa notare il numero uno dei neonatologi. Avere un figlio “è un vero e proprio passaggio all’età adulta e noi stiamo vedendo che i ragazzi di oggi tendono a posticiparlo sempre di più. Però dall’altro lato c’è un orologio biologico che non si ferma”.  

Quindi le regole della natalità andrebbero insegnate fra i banchi. “Per far capire – dice lo specialista – che oltre un certo limite non si può andare, perché poi diventa più difficile e si rischia di non farli più i figli; che la fertilità si riduce e bisogna ricorrere a tecniche di fecondazione assistita, e le cose diventano meno semplici. Nell’ambito di un’educazione civica complessiva vedrei anche il tema della natalità. Vorrei che si potesse parlare anche di alcuni elementi fondamentali come la genitorialità, il desiderio di maternità e paternità. Ci sono delle indagini sulle giovani coppie italiane che mostrano che questo desiderio è molto sentito in realtà, ma poi non viene messo in pratica. Perché si rinvia e si rinvia. E alla fine si rischia di non concretizzarlo mai”.  

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