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I miei tanti calci | Calcio parlato, calcio giocato, calcio mercato

Il calcio è in Italia uno sport totale, strettamente connesso all’oralità: vedi lo strapotere del calcio parlato. Lo spirito della partita di calcio influisce sulla stessa maniera di ragionare e di dibattere dell’italiano medio. La logica binaria del goal fatto e del goal subito condiziona la sua maniera di ragionare e di dibattere. In un ragionamento, in un confronto d’idee, in un dibattito, in una polemica, all’avversario non si concede nulla, perché dare ragione all’oppositore, anche se su un punto solo, sarebbe come concedergli un goal. È la chiusura totale. È il “catenaccio” alla Nereo Rocco. Dell’avversario si respingono in blocco tutti i ragionamenti.

 

Il carattere italiano odierno è inoltre francescanamente “anazionalista” (dobbiamo questo neologismo a un diplomatico straniero, profondo conoscitore degli italiani). Questo spirito mondialistico antinazione – “Siamo tutti figli di Dio!”, “Ogni mondo è paese!”, “Ascoltiamo Bergoglio e Mattarella: aboliamo le frontiere!”, “Viva il diverso straniero!” – subisce un capovolgimento, però, quando la nazionale italiana di calcio scende in campo. Inno nazionale e tricolore, che nell’Italia di oggi dovrebbero essere considerati passatisti, populisti e sovranisti, riprendono un incredibile vigore. Si capirà quindi che il vergognoso comportamento in campo degli azzurri abbia lasciato a moltissimi italiani l’amaro in bocca. Ma chissà, forse un giorno (papa Bergoglio e il presidente Mattarella certamente se lo augurano) anche le sconfitte italiane da stadio saranno celebrate in un paese dove l’apertura al diverso e il buonismo mondialista sono il mantra scandito dalle nostre élite intellettuali, sanamente progressiste. Sarebbe dopo tutto una questione di coerenza, perché i calciatori della penisola si confrontano con il diverso straniero. Nella penisola, la diversità è acclamata dai nostri progressisti, fra tutti la Schlein, difensori ad oltranza, inoltre, del mitico straniero, concentrato di virtù.

 

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A detta degli esperti, l’esclusione dell’Italia è da imputare almeno in parte alla confusione ingenerata tra i giocatori dal troppo parlare di Spalletti e alle sue sempre nuove tattiche calcistiche. Ma Spalletti ha avuto un merito: ha garantito il trionfo del “calcio parlato”, cui le sconfitte dell’Italia sul campo da gioco non hanno fatto e mai faranno un baffo.

 

Il verbo, il dibattito, la polemica sono l’anima del calcio all’italiana, sport praticato nello Stivale da tutti quelli che sono in possesso di corde vocali. Lo sport nazionale italiano è praticato oralmente ventiquattr’ore su ventiquattro.  Nella penisola vi è il più alto numero di quotidiani sportivi, io credo, al mondo, da intendere: calcistici, che alimentano come fiumi in piena la marea di parole su cui il nostro calcio galleggia e in cui ancor più spesso affoga. La partita è l’occasione di accesissime discussioni “prima, durante e dopo”. Di qui la necessità – fenomeno unico quello italiano – di ricorrere a espressioni distinte per identificare i principali tipi di calcio praticati in Italia: il “calcio giocato” e il “calcio parlato”, quasi comesi distingue il trotto dal galoppo, lo sci di fondo da quello alpino, il football americano dal rugby europeo, e nel nuoto lo stile libero da quello a farfalla. Neppure in piena estate, quando non vi è il campionato, le chiacchiere e le discussioni vengono meno. In un tal periodo gli “sportivi”, con voce ormai rauca per il troppo parlare, discutono invece, sotto il solleone o al bar, di “calcio mercato”, ulteriore tipo di calcio.

 

Niente male dal punto di vista linguistico: “calcio giocato”, “calcio parlato”, “calcio mercato”.  È una consolazione questa tenuta gagliarda della lingua italiana, insidiata da “assist”, “penalty”, “supporter”. Peccato solo, per il calcio italiano, che i goal non si facciano con le corde vocali.

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