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Honduras

Honduras, piccolo stato del Centro America dilaniato dalla criminalità a causa del traffico di droga, si affaccia sul Mar dei Caraibi a nord e sul Pacifico a sud. L’anno in cui apriva finalmente le sue frontiere ai turisti, una timida pubblicità esaltava spiagge inesplorate, foreste tropicali con flora e fauna di straordinaria bellezza, sorgenti termali, grandiosi templi della civiltà Maia.

La curiosità e il desiderio di conoscere meglio la civiltà Maia, che mi ha sempre affascinato, mi spinsero a partecipare al primo viaggio organizzato da Montreal. Il gruppo di turisti sarebbe arrivato a Tegucigalpa, la capitale, poi a La Ceiba, da dove partivano le varie escursioni verso l’isola di Roatan e le rovine Maia a Copàn. Notavo un certo nervosismo nei miei compagni di viaggio; l’Hotel era sorvegliato dai militari, il vicino MacDonald presidiato da due soldati armati fino ai denti, la prudenza era di rigore e ci era stato raccomandato di non andare troppo lontano da soli.

Il gruppo si muoveva compatto con un autobus su cui viaggiavano anche alcuni soldati per proteggerci. Sentivo il bisogno di esplorare la vita dei villaggi non ancora intaccati dalla sete di lusso e suppellettili inutili. Nei villaggi, i contadini vivevano dei loro prodotti naturali, in case di paglia e fango e lasciavano liberi sulle strade gli animali domestici. Per conoscere meglio la vita degli Honduregni dovevo trovare una guida e una macchina. Una mancia consistente e un complimento ad un cameriere dell’albergo mi aiutarono ad attuare il mio viaggio. Manuel aveva una trentina d’anni, una piccola casa, dove viveva con la moglie, due figli piccoli e la suocera, e una macchina i cui pezzi stavano assieme con corde e nastri adesivi. Lo spagnolo che conoscevo mi aiutò a spiegare il mio desiderio e lui fu contento di mostrarmi la sua famiglia e la casa che aveva appena comperato.

page18image63743952Ci avviammo verso il suo villaggio che distava una mezz’ora. Mentre passavamo un deposito enorme di immondizia, Manuel cercò di distrarmi per evitare osservazioni spiacevoli. Non era solo un deposito, c’erano anche rifugi di cartone, ragazzini che scavavano i rifiuti, donne indaffarate a selezionare bottiglie di vetro, metalli, fili elettrici…

Lo sguardo della mia guida divenne triste. Lo sferragliare della macchina annunciò il nostro arrivo. Due bambini ci corsero incontro, una donna giovane stava sull’uscio di una casa dal tetto di paglia. Avevo portato alcuni biscotti, e altre piccole provviste che fecero la gioia di tutti. Dopo aver incontrato tutta la famiglia, i bambini mi presero per mano e mi condussero sulla spiaggia attraverso una strada sabbiosa dove galline e maiali scorazzavano alla ricerca di una briciola da mangiare. Percorremmo la via principale, che forse era l’unica strada; ai lati, negozi di tessuti colorati, una macelleria a cielo aperto, una banda suonava ritmi allegri, icone con santi e candele ad ogni angolo.

Ho perso la nozione del tempo, il ritmo forsennato della vita moderna non esisteva più, i rumori delle discoteche erano un ricordo lontano; mi sono ritrovato al tempo in cui anche le strade del mio paese erano polverose, la vita più tranquilla, la gente più calorosa ed umile. Un momento fugace di serenità! Adesso sembra che le cose siano cambiate: il turismo è molto agevolato, gli alberghi si sono moltiplicati, le strade sono asfaltate… Ma si è persa la semplicità di quella vita antica e la criminalità è diventata più sofisticata.

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