di Alessandra Cori
La produzione di grano duro italiano, ingrediente essenziale per produrre la pasta, quest’anno scenderà sotto i 3,5 milioni di tonnellate, la più bassa degli ultimi 10 anni. A livello nazionale, secondo le indicazioni del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), la produzione dovrebbe crollare nel 2024 del 10% a 3,4 milioni di tonnellate, meno del 60% del fabbisogno dell’industria molitoria che trasforma il grano duro nelle semole necessarie ai pastifici per una produzione che rappresenta il fiore all’occhiello del Made in Italy agroalimentare con una voca-zione all’export dove è destinato il 60% circa delle confezioni di pasta. La riduzione del 10% stimata alla vigilia della trebbiatura, che arriva dopo una cam-pagna 2023 già al ribasso e soprattutto ampiamente compromessa in termini di quali-tà, è una media che nasconde il tracollo dei raccolti nel Granaio d’Italia. La ripresa sembra dover attendere. Infatti, nonostante un raccolto ai minimi storici i prezzi del grano duro, dopo aver perso oltre il 10% del loro valore da inizio anno, restano in-chiodati nelle Borse merci nazionali intorno ai 330 euro a tonnellata per le varietà più pregiate, mentre si pagano 100 euro di meno per la nuova categoria del “sotto mer-cantile”, introdotta lo scorso anno per permettere la commercializzazione di una quota del raccolto rovinata dal maltempo. Nemmeno l’imposizione dei nuovi dazi Ue sull’import da Russia e Bielorussia avrà effetti sul mercato interno visto che già da gennaio a maggio scorso Mosca, dopo il consistente aumento del 2023, aveva messo il bando sulle esportazioni di grano duro. Se il grano Made in Italy cede il passo, la produzione mondiale di questo cereale è invece prevista in aumento. Dopo il calo dello scorso anno, infatti, le rese dovrebbero complessivamente aumentare del 10% grazie alle maggiori produzioni di importanti paesi esportatori come gli Stati Uniti (+25%), la Russia (+20%) e la Turchia (+5%).
Nella geografia delle importazioni va sottolineato il ritorno del Canada. Storicamente primo produttore ed esportatore mondiale, dopo il crollo dello scorso anno si attende un recupero del 40% del raccolto. Proprio, grazie all’aumento delle rese nei grandi Paesi produttori, le scorte finali di grano duro a livello globale registreranno un incremento dell’8-10%, pur rimanendo tuttavia lontane dalle medie di lungo periodo. Per queste ragioni i prezzi si manterran-no lontani dai picchi registrati nelle ultime campagne. Per quanto riguarda, invece, la produzione nazionale di grano tenero, usato per il pane e altre preparazioni industriali come i biscotti, le previsioni per il 2024 sono positive anche in Italia dove il raccolto è atteso in leggero aumento dell’1,4%, per una produzione stimata di circa 3 milioni di tonnellate. Calano invece dell’8% i terreni coltivati a orzo. Questo calo è dovuto in primo luogo alla siccità. Infatti, lungo il Tavoliere delle Puglie, dove lo scorso inverno si è seminato in ritardo per mancanza d’acqua e nelle zone collinari dove si è invece piantato in anticipo, le spighe non sono proprio cresciute o sono bruciate. Anche nelle aree vicine al mare la produzione appare compromessa. Paradossalmente, si è salvato proprio chi ha seminato in ritardo e raccoglierà più tar-di, con una qualità ottima dicono gli esperti. Ma gli effetti della crisi climatica si sono fatti sentire anche al Nord. In Emilia Romagna temporali, raffiche di vento e grandinate hanno sferzato il grano nella fase più delicata in cui si determinano peso e caratteristi-che qualitative causando l’allettamento della spiga sul 50% della superficie regionale dedicata a questa coltivazione. Dall’altro lato dall’industria molitoria, anello di con-giunzione della filiera che acquista il grano dai produttori e lo rivende ai pastifici, è ar-rivato un messaggio conciliante rivolto agli agricoltori che quest’anno hanno alzato il tono della protesta, tra aumento dei costi e prezzi stagnanti. “Dobbiamo capire che la crescita dell’export di pasta è un fattore di successo trainante per tutta la filiera”, ha detto il presidente dei molini a grano duro di Italmopa, Enzo Martinelli. “Se non soddi-sfiamo il fabbisogno dei pastifici anche attraverso le importazioni – ha aggiunto – qual-cun altro prenderà le quote di mercato conquistate dall’Italia. Inoltre, ha ricordato Ital-mopa l’origine non è sinonimo di qualità”. Insomma, con 1,3 milioni di ettari, concen-trati per il 60% in Puglia, Basilicata e Sicilia, il grano duro è la principale coltivazione italiana, ma resta una nicchia relativamente piccola su scala globale, ed è per questo ogni variazione dello scenario produttivo può alimentare nuova volatilità sui mercati.