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Gli immigrati

 

Dopo un lungo percorso attraverso la storia dei geni che hanno contribuito a plasmare la civiltà occidentale, siamo giunti ai giorni nostri con una maggiore consapevolezza del valore degli italiani che ci hanno preceduti. Dai Romani con le loro opere grandiose a Federico II, lo Stupor Mundi, da Archimede a Margherita Hack, da Catullo a Dante, da Leonardo a Faggin, da Monteverdi a Puccini… e dai personaggi illustri a tutti quelli che non ho menzionato, abbiamo attraversato i secoli in una carrellata che dovrebbe rendere fiero ogni italiano e dimostrare al mondo quello che siamo capaci di fare. Sorge spontanea la domanda: “Noi abbiamo fatto questo, e voi?”

 

Davanti a tanta creatività potremmo sentirci piccoli e incapaci, ma la realtà ci mostra qualcosa di diverso: l’eccellenza non appartiene soltanto alle grandi opere, ma è anche frutto di piccoli passi che contribuiscono al progresso. Basti pensare alla genialità degli immigrati italiani inginocchiati ad accarezzare e a parlare con il cemento ancora vivo, agli artigiani che con la cazzuola riescono a far vivere i muri delle nostre case, agli operai imbrattati di catrame mentre ricoprono di asfalto le strade, ai saldatori, agli elettricisti che compiono un lavoro straordinario per rendere la vita più confortevole. E se qualcuno mostra disprezzo, ricordiamoci che è solo frutto dell’invidia.

 

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Ci siamo dispersi come i semi che il vento fa volare e poi, depositati dove c’è il terreno buono, siamo cresciuti forti come querce: in Argentina e in Germania, in Brasile e in Inghilterra, in Venezuela e in Australia, negli Stati Uniti e in Canada. Siamo arrivati prima con le navi, poi con i jet e abbiamo costruito una Comunità a nostra misura, rispettando quella esistente che ci ha accolto.

 

Eppure, abbiamo sentito denigrare la nostra gente, odiare le nostre Comunità, ci hanno relegato in ghetti come lebbrosi, ma abbiamo sempre tenuto la testa alta e caparbiamente siamo riusciti a trasformare la società in cui viviamo. La percezione dell’italiano è stata quasi sempre negativa e stereotipata: lo straniero, il diverso, l’elemento pericoloso. Abbiamo lavorato nelle industrie, scavato miniere, costruito strade, ferrovie, tunnel, dighe… e abbiamo lasciato un’impronta profonda in ogni luogo che ci ha ospitati.

 

I primi immigrati negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso, hanno modellato il paesaggio culturale e architettonico con il loro talento di scultori, falegnami e musicisti. L’industria vinicola della California ha origini italiane.

 

L’Argentina ebbe ed ha tuttora il maggior numero di immigrati: esperti progettisti, architetti, tecnici, maestranze che hanno cambiato radicalmente l’architettura delle città e persino le scelte culinarie.

Purtroppo tendiamo anche noi a disprezzare la nostra penisola e, quando abbiamo l’occasione di tornare da una vacanza nel Belpaese, parliamo dei sacchi di immondizia sparsi per le strade, dei cani che lasciano residui che nessuno raccoglie, dei cinghiali che invadono le città, dimenticando le bellezze che tutti ci invidiano. In questo amore-odio c’è tutto il nostro attaccamento alla terra che abbiamo lasciato e, se qualcuno disprezza le proprie origini, in realtà esprime la delusione per aver dovuto lasciare l’Italia per un futuro migliore e non avrebbe voluto.

È vero che non si vive di ricordi, che la genialità di coloro che hanno costruito monumenti ancora testimoni di un passato glorioso è un vanto immateriale, ma chi non è cosciente delle proprie radici non arriverà mai a costruire un futuro migliore.

Questo è l’ultimo articolo della serie “Il genio italiano” e ho voluto dedicarlo a voi che avete seguito il percorso dei geni che hanno reso grande l’Italia.

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