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Gli Arditi (Prima parte): punta di diamante dell’esercito italiano risorto al Piave e sul Grappa

Tempo addietro a Montréal (2015) partecipai ad una celebrazione del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915). Quando l’iniziativa fu annunciata, tutti, compreso l’ente promotore, si aspettavano una rievocazione storica e la celebrazione di una grande prova del Popolo italiano. Invece, delusione e sconcerto, i due animatori presentarono l’evento non come celebrazione della memoria dei Caduti e una vittoria conseguita a coronamento dell’Unità d’Italia, bensì denunciando un inutile massacro (solo da parte italiana, naturalmente). Quel che lasciò di stucco tutti i partecipanti, oltre al tono critico anti-italiano dei presentatori, fu la proiezione di documenti e manifesti propagandistici austriaci anti-italiani, in cui veniva ridicolizzato l’Esercito Italiano, fanti, alpini e i bersaglieri.

 

Tra queste perle propagandiste austriache anti-italiane che dileggiavano il Soldato italiano, uno mi colpì in particolare: un Alpenjager austriaco, con mano ferma, strozzava un Bersagliere che strideva come un tacchino, mentre da parte, sbalorditi, fanti, Alpini e bersaglieri, inermi restavano allibiti! Non intendo suscitare polemiche, ma solo rilevare come anche tra di noi all’estero cova il germe disfattista anti-italiano. La guerra come tale non piace a nessuno, poiché foriera di lutti; essa è l’eterna nemica di madri, spose e orfani di guerra. Con detta cerimonia, di certo non ci si aspettava una celebrazione della guerra, ma una riflessione su una fase storica della nostra Unità nazionale conseguita a costo di un immane sacrificio. A distanza di un secolo, l’evento appartiene alla storia e va giudicato nel suo contesto storico e sociale, senza strumentalizzare, riconoscendo lo spirito e il sacrificio dei combattenti di opposte trincee. Da parte italiana, però, celebrare questa data vuol dire anche sublimare l’alta Valenza simbolica di un sacrificio, attraverso il quale viene rafforzato il Valore Patriottico, simbolo della nostra unità e identità; un dono e un retaggio supremo da chi a venti anni offrì la propria giovinezza ad un ideale di Patria (non me ne vogliano i nostri dissacratori, i quali neanche immaginano che vi è stata gente che ha creduto sino all’ “Offerta suprema”).

 

Tipiche cartoline postali degli anni 1915-18 che ritraggono l’Ardito nell’atto dell’assalto. Le sue armi offensive: la veemenza dell’atto, “il pugnal, la bomba e il cuor”. Nella prima illustrazione, da notare sopra a sinistra il loro sigillo: un gladio romano; e in basso a destra il loro grido di raccolta e d’assalto: l’A noi! D’Annunziano (siamo negli anni 1915-18, in pieno primo conflitto mondiale). Nella seconda immagine: l’Ardito inchioda l’aquila bicipite absburgica sulla Vetta del Grappa.

Inoltre, celebrare questa data vuol dire trasmettere e ricordare alle nuove generazioni che, oltre all’edonismo e al gretto materialismo imperante, vi sono valori per i quali i loro nonni e bisnonni hanno sofferto e combattuto. Invece i nostri “cultori della verità”, nella “rievocazione”, procedettero ad una “anti-celebrazione”, al punto che nella stessa occasione non mancarono di dare il loro giudizio più che negativo e dissacratorio finanche sugli Arditi, fiore all’occhiello, quintessenza dell’ “arditismo” del Fante italiano, presentandoli come una masnada di delinquenti e ergastolani al soldo dell’Esercito Italiano. In risposta alle loro misere e soggettive considerazione sul 4 novembre e gli immediati protagonisti, dopo aver accennato al Corpo degli Alpini e dei Bersaglieri nella Storia d’Italia in precedenti articoli, è doveroso parlare dei famosi e mitici Arditi, che tanto contribuirono a lavare l’onta di Caporetto. Da un settantennio è stato volutamente ignorato e sottaciuto alle nuove generazioni chi furono veramente gli Arditi e la loro natura. Quella degli Arditi fu una specialità affascinante, controversa, misteriosa e, non esagero, mitica e determinante nel riscatto dell’Esercito Italiano dopo Caporetto. Assieme ai veterani, è la storia di tanti “ragazzi del ‘99”. La storia di questa unica ed eccezionale specialità militare italiana va considerata e valutata attraverso altri veri e propri “miti” della Grande Guerra, quali D’Annunzio, Toti, Battisti, Sauro, ecc.

 

Pochi sanno che la gloria delle Fiamme Nere nacque da uomini leggendari oggi sconosciuti ai più come il Maggiore Giovanni Messe, comandante del IX Reparto d’Assalto e precursore dell’attuale IX Reggimento d’Assalto “Col Moschin”, o Ettore Viola, Capitano degli arditi, VI reparto d’assalto, leggendaria figura di combattente. Con lui nacque la figura dell’ “Ardito del Grappa”; giovane ufficiale pluridecorato (due medaglie d’argento e una d’oro sul campo, definito dal Re Umberto II come “la più bella Medaglia d’Oro della Grande Guerra”). Quando il Vate Gabriele D’Annunzio compì il suo leggendario “Volo su Vienna”, portava alla sua cintura il pugnale di ardito regalatogli dall’Ardito Ettore Viola. Oppure il giovanissimo Ardito Ermes Aurelio Rosa. Quest’ultimo è ricordato per le sue gesta di ardito nell’inferno della Battaglia del Grappa, e soprattutto per suo diario di guerra: “ARDITI SUL GRAPPA, Una lezione per tanti, da un ragazzino diciottenne di cento anni fa”. Il diario rimase ignorato, fino a quando Ruggero Dal Molin non lo ha scovato nella biblioteca civica di Asiago e venne pubblicato negli anni ottanta, “affinché i giovani  non dimenticassero e si dimostrassero riconoscenti.”

 

Gli Arditi e le loro gesta sono intimamente legati all’epopea del Fante delle Trincee di un secolo fa. Le storie e le imprese di questi ultimi rivivono nella pubblicazione delle loro memorie e in alcune eccezionali fotografie e nei filmati. Anche se volutamente ignorati poiché figure scomode alla storiografia ufficiale negatrice di ogni valore, gli Arditi e lo spirito ardito hanno non solo contribuito, ma anche determinato la Storia d’Italia. Prima di confluire in gran numero nell’esperienza fiumana e in misura significativa, tra le schiere del nascente regime, la specialità degli Arditi espresse, nella fase finale della Grande Guerra, quanto di meglio l’Esercito Italiano riuscì a schierare in termini di efficienza operativa e di tecniche di combattimento. La caratteristica principale degliArditi  resterà quella di uno spirito unico e indomito. 

(Continua)

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