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Falso Made in Italy in crescita

L’agroalimentare di qualità il più imitato al mondo

di Alessandra Cori

Un grande inganno muove a livello globale un giro d’affari illecito da oltre 90 miliardi di euro l’anno. È la contraffazione del marchio Made in Italy, che ha portato la Guardia di finanza italiana a mettere a punto per il 2023 un piano operativo più incisivo a tutela dell’industria.

 

L’intento è quello di arginare anche l’Italian sounding, un sistema che, sfruttando parole, immagini, colori e riferimenti geografici evocativi del Bel Paese, ha permesso alla filiera della contraffazione di ritagliarsi un business che vale circa 6 punti percentuali di Pil. Un danno che si protrae ormai da anni e che sta provocando una gravissima flessione per i distretti industriali italiani, cui va aggiunto il mancato incasso di tasse per lo Stato. Basti considerare che nel 2020 la contraffazione ha provocato un decremento economico nazionale pari a 17 miliardi di euro, determinando un minor gettito erariale di Iva, Ires, Irpef e contributi previdenziali non versati di oltre 4,8 miliardi.

 

Il governo è quindi corso ai ripari con un pacchetto di norme per tutelare il sistema Paese anche contro l’Italian sounding, prevedendo, tra le altre cose, un inasprimento delle misure penali. Parallelamente la Guardia di finanza ha potenziato il livello degli accertamenti per tutelare tutto il Made in Italy. L’attività investigativa, che viaggia su più livelli, è così descritta dai berretti verdi: “individuazione e sequestro della merce falsa, disarticolazione, in Italia e all’estero, della catena logistica, organizzativa e strutturale delle filiere illecite, dei canali di finanziamenti, riciclaggio e reinvestimento dei profitti derivante dalle condotte, nonché recupero a tassazione dei proventi illeciti”. In ballo c’è la salvaguardia del tessuto produttivo, soprattutto dopo che il periodo Covid ha reso vulnerabili importanti comparti come l’abbigliamento, l’automazione, l’arredamento e, in misura sempre più alta, l’agroalimentare e la violazione del diritto d’autore.

 

Il settore più colpito è proprio quello agroalimentare dove il falso Made in Italy fattura 80 miliardi, 30 in più di quello vero. Ma se si include il Made in Italy percepito lo scarto è ancora più alto. Parmigiano, ragù e aceto balsamico i prodotti più imitati.

 

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In Giappone, Germania e Brasile 7 prodotti su 10 non sono originali. Il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, di questi solo il 40% va alle imprese che producono vero made in Italy, il resto, la fetta più grande, alimenta l’industria del falso. Questi dati sono sufficienti per capire che supportare le esportazioni non significa solamente promuovere e incentivare ma significa anche tutelare, direttamente nei mercati esteri, le quote di mercato che le imprese italiane hanno conquistato con grande impegno, proteggendo le eccellenze agroalimentari italiane dalle imitazioni.

 

Le imprese italiane possono contare su una formidabile rete di “atterraggio” e promozione del Made in Italy nel mondo costituita da 84 camere di commercio italiane in 61 paesi esteri, le quali aggregano oltre 23mila imprenditori italiani ed esteri e rappresenta per il sistema Italia una partnership fondamentale per aiutare le imprese, in particolare quelle piccole e medie, a radicarsi sui mercati esteri creando collegamenti e relazioni fiduciarie con le comunità d’affari estere.

 

Per superare questa criticità, o quanto meno ridurne l’impatto, gli esperti ritengano necessario muoversi su due piani: uno culturale e uno normativo. Sul primo fronte occorre senza dubbio favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze distintive del Made in Italy agroalimentare. Dal punto di vista normativo, è necessario puntare su nuovi accordi di libero scambio, su intese bilaterali più favorevoli per le imprese agroalimentari stabilendo anche clausole che vietino l’evocazione dell’italianità e dare impulso alla tracciabilità sfruttando la tecnologia di blockchain e smart labeling e, in generale, contribuire a dare supporto tecnologico alle PMI italiane. Anche recentemente il Ministro Lollobrigida, sulla stessa lunghezza d’onda, commentando questa necessità: “sono importanti le clausole di reciprocità nel contesto degli accordi commerciali internazionali per frenare il mercato del falso; bisogna continuare a lavorare attraverso controlli più stringenti”.

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