IL PUNTO di Vittorio Giordano
La sbornia post-vittoria elettorale è finita. Dopo il pieno di voti incassato alle elezioni del 19 ottobre (che ha schiantato Harper e ridicolizzato Mulcair) e il ‘Discorso del trono’ del 4 dicembre con i punti-chiave dell’azione di governo decantati ‘urbi et orbi’, lunedì scorso il governo liberale guidato da Justin Trudeau è tornato al lavoro con la riapertura ufficiale della sessione parlamentare (dopo 6 settimane di ferie). Un Parlamento ‘amico’, vista la schiacciante maggioranza di cui gode l’esecutivo, che quindi non avrà nessun problema a tradurre in leggi i ‘desiderata’ del Primo Ministro. L’opposizione, infatti, non ha né i numeri né la leadeship per opporsi in maniera efficace e continuativa. La strada, dunque, è più che mai spianata e in discesa. Il governo, inoltre, gode ancora di uno straordinario consenso popolare: la luna di miele con l’opinione pubblica continua.
Eppure nulla è scontato, soprattutto alla luce della congiuntura internazionale deficitaria. Due i fronti caldi su cui il governo è chiamato ad esporsi con provvedimenti risolutori: l’economia, che non accenna a ripartire, complice anche il prezzo del petrolio in caduta libera, e il mercato del lavoro che arranca; e la lotta al terrorismo internazionale, dopo la morte di 7 canadesi negli attentati in Indonesia e Burkina Faso, e la scelta di interrompere i raid aerei in Siria ed Iraq. Sull’economia, la strategia di fondo è confermata: nonostante il petrolio ai minimi storici e il dollaro debole, il Ministro delle Finanze, Bill Morneau, resta fermo sulla posizione di iniettare 60 miliardi in 10 anni (di cui 20 nei prossimi 2, la metà dei quali proveniente dal “Nuovo Fondo Cantieri Canada” creato dai conservatori) a favore di un’articolata serie di interventi infrastrutturali. Un investimento rischioso e massiccio, una ‘cura da cavallo’ per far ripartire un’economia in stallo, che non esclude un piano di sgravi fiscali a favore della classe media, che costeranno alle casse dello stato tra i 1.2 ed i 1.7 miliardi. Per un budget che non potrà prescindere da un deficit di almeno 10 miliardi di dollari (e sarà così fino al 2020, quando è previsto il ritorno all’equilibrio di bilancio). Insomma, basta austerità: lo Stato torna protagonista. Trudeau vincerà la sua scommessa se saprà diversificare le entrate dello Stato (che non può dipendere solo dalle risorse naturali, in un sistema sempre più competitivo e globalizzato), ma soprattutto se saprà investire sul futuro. “La crescita e la prosperità – ha dichiarato recentemente Trudeau, a Davos – non sono legate soltanto da ciò che si trova sotto i nostri piedi, ma soprattutto a ciò che si trova tra le nostre orecchie”: un esplicito richiamo a settori strategici come la robotica, le biotecnologie ed un’economia a bassa emissione di carbonio. Una scelta coraggiosa, che potrebbe rivelarsi decisiva nel lungo periodo. I liberali, poi, dovranno fare chiarezza sul ruolo che riveste il Canada nella lotta al terrorismo internazionale: l’annuncio di Trudeau di rititare i CF-18 dalle missioni sui cieli di Iraq e Siria (che però di fatto continueranno almeno fino al 30 marzo, quando scadrà il mandato votato dal precedente Parlamento) non mette al riparo il Paese dalla furia sanguinaria di matrice islamica, come dimostrano i recenti attacchi che sono costati la vita ad alcuni connazionali; ma soprattutto rimette in discussione il peso geo-politico del Canada stesso, visto che il Ministro della Difesa Harjit Sajjan è stato escluso dal summit dei principali Paesi (Francia, Usa, Australia, Germania, Italia, Regno Unito e Paesi Bassi) impegnati a combattere l’organizzazione jihadista dell’Isis. L’obiettivo di Trudeau è quello di disimpegnare militarmente il Canada, rafforzandone il ruolo umanitario e diplomatico. In un mondo perfetto sarebbe la scelta preferibile, ma, considerata la virulenza di un terrorismo fondamentalista globale, forse gli alleati occidentali si aspettano un Canada più interventista e meno buonista. A economia e terrorismo, poi, si aggiungono sfide altrettanto spinose come l’adozione di una legge per inquadrare l’eutanasia, l’accoglienza di altri 12 mila rifugiati (su 25 mila in totale), la legalizzazione della marijuana, la consegna a domicilio della posta, la revisione del modello di finanziamento del sistema sanitario, la riforma del sistema elettorale, la gestione dei cambiamenti climatici (con la riduzione dei gas a effetto serra) e la modifica della Legge sulla Cittadinanza “a due velocità”. Le aspettative sono alte: per Trudeau è già tempo di risposte.