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Due celebri specialità militari dell’Esercito Italiano: doppio riflesso dell’indole del popolo italiano

Non è buona cosa valutare o paragonare le virtù di due corpi tanto rappresentativi nella storia d’Italia come lo sono il Corpo degli Alpini e quello dei Bersaglieri. Non si danno valutazioni con parametri “quantitativi”, confrontando dedizioni ai doveri e atti di eroismo; né si fa retorica riferendosi a sacrifici supremi in cui figure esemplari dei due Corpi son state protagoniste. Ambedue le armi hanno dato prove sublimi di valore e abnegazione. Perciò, dopo essermi abbastanza dilungato sullo “spirito alpino”, continuo sull’animo e la natura del Bersagliere.

 

Anche qui il reclutamento di quest’ultimo corpo specializzato del nostro esercito ha interessato regioni e ambienti particolari e differenti; praticamente dalla Pianura Padana alle nostre isole. Da una parte la figura dell’Alpino riflette un animo forgiato ove regna il concetto della “verticalità”, “ove nidifica l’Aquila”, simboleggiato dalla Vetta da ascendere, conquistare e difendere. Dall’altra la figura del Bersagliere è caratterizzata da un ambiente ove regna l’ “orizzontale” da sorpassare,  riassunto in un suo fatidico motto: “Col cuore e la mente oltre l’ostacolo”. Oltre al concetto di abnegazione e del “lanciare la vita oltre la meta”, vanno menzionate altre peculiarità proprie del Bersagliere: veemenza, impetuosità, scatto deciso e vivacità. Tutte queste particolarità, proprie dei figli di La Marmora, hanno sempre suscitato orgoglio nella Penisola, ma anche preoccupazioni e ammirazioni allo stesso tempo per chi si trovava sul loro cammino, e dunque era un loro bersaglio. Chi ha avuto occasione di vivere l’improvviso sopraggiungere di una fanfara di bersaglieri a passo di corsa può capire l’emozione e l’orgoglio che questi soldati d’Italia suscitano al loro improvviso apparire.

Oltre all’aspetto militare in sé, la figura dell’Alpino e del Bersagliere è da sempre idealmente apparsa in un alone romantico. Infatti, in queste due allegorie, l’Alpino, sulla Vetta inviolata, “spenna” l’aquila asbsburgica, mentre il Bersagliere, nella sua veemenza, è accompagnato idealmente dallo spirito delle antiche legioni romane.

 

Accompagnate dal loro tipico fatidico squillo, un’ondata di piume nere, ondeggiando, sembra trasportare sulle ali del vento un manipolo di effervescente giovinezza. Uno spettacolo, un particolare momento di esaltazione e di ebrezza elettrizza l’atmosfera. Il plotone appare come in un solo blocco che passa veloce e leggero; poi, come in una visione si allontana, svanendo assieme alle note della loro fanfara. L’improvvisa apparizione suggerisce l’incarnazione di un’unica volontà che avanza con impetuosità. Il 2 giugno, a Roma, in occasione della Festa della Repubblica, via dei Fori imperiali (già Via dell’Impero), nei piumetti svolazzanti dei bersaglieri rivive l’entusiasmo di sempre della gioventù d’Italia. Le loro fanfare in testa e i caratteristici 180 passi di corsa esprimono l’entusiasmo e l’allegria che da sempre contraddistingue l’animo dei Bersaglieri.

 

Non sto esagerando, né facendo retorica, sto semplicemente cercando di presentare lo spirito e il carattere di questa magnifica unità del nostro esercito. Infatti, sin dalla loro costituzione, questo modo di essere e di apparire risulta legato alle motivazioni della nascita di questi soldati, pensati e voluti dal capitano del Reggimento Guardie, Alessandro Ferrero Della Marmora. La giovanile allegria, l’entusiasmo e la serenità, infatti, erano elementi costitutivi dello spirito di corpo indispensabile per i compiti che i Bersaglieri, rifacendosi alle specialità già esistenti in altre nazioni europee, avrebbero dovuto portare avanti attraverso un addestramento specifico. Il Padre di questi “militi piumati”, A.F. Della Marmora, ideò la prima divisa dei Bersaglieri di colore blu con cordone di lana verde porta fiaschetta della polvere da sparo, guanti neri e goletta e mostra delle maniche color chermisio scuro. Anche il caratteristico cappello rigido nero fu pensato dal fondatore del corpo: doveva essere una coppa di feltro nero, rotonda (con eventuale calotta di ferro per proteggersi dalle sciabolate dei cavalieri), che andava restringendosi dal basso verso l’alto, con una tesa piegata tutt’intorno con le piume di gallo cedrone (caratteristica a quei tempi anche dei kaiserjäger austriaci). La tradizione vuole che il caratteristico modo di portarlo in obliquo sul lato destro derivi dall’attendente del La Marmora, il sergente Vayra, che, raccogliendo al volo il cappello lanciato dal suo comandante, se lo ritrovò piegato sulle ventitré a coprire l’orecchio destro.

 

A completare nei Bersaglieri, in maniera indelebile, la storia e la tradizione del loro Corpo, intervenne la Guerra di Crimea. Non a caso, assieme al cappello piumato, altro simbolo dei Bersaglieri è il fez. Venne donato loro, in segno di stima e ammirazione dagli Zuavi francesi. Da allora, il fez color cremisi con la sua ricciolina blu, con una lunghezza di 30 cm per poter dondolare da una spalla all’altra, è diventato un simbolo caratteristico dei fanti piumati. Dalla Crimea i Bersaglieri portarono un’altra consuetudine, quello dell’utilizzo del grido Hurrà per manifestare giubilo e gioia. Assieme all’Alpino, la figura del Bersagliere è intimamente legata alla storia d’Italia. Le due tradizionali figure militari, nelle loro divise e nelle loro caratteristiche, risultano essere l’espressione tipica, e quindi caratteriale, del folclore e delle zone geografiche di reclutamento della Penisola. Se all’Alpino, assieme al fucile, era indispensabile corda e piccozza, al Bersagliere era indispensabile una baionetta lunga in modo da poter compensare la minore lunghezza del fucile negli scontri diretti. L’insieme di questi simboli riconducono alla nascita e alla specialità dei due corpi. 

(Continua)  

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