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Dopo oltre un secolo dalla grande prova, le ex Penne Nere non dimenticano

Ogni città ha una via o una “piazza 4 Novembre”. Ma perché la toponomastica dei nostri centri abitati “celebra” questa data che non è (più) un giorno festivo? Cosa è successo il 4 Novembre, una volta religiosamente data ricordata e celebrata?

Iniziamo dalle basi. Il 4 Novembre del 1918 è la data dell’armistizio nella Prima Guerra Mondiale, il giorno in cui l’Impero austro-ungarico si arrese all’Italia firmando l’armistizio che fu sottoscritto a Villa Giusti, in provincia di Padova. Motivo per il quale, a partire dall’anno successivo, il 1919, il 4 Novembre fu istituito come festa Nazionale. Una giornata che veniva celebrata solennemente e nella quale si stava a casa, assentandosi dal lavoro o da scuola. Quel giorno il comandante supremo dell’Esercito italiano, il generale Armando Vittorio Diaz, rilasciava il Bollettino di guerra n. 1268, meglio conosciuto come bollettino della vittoria: “L’Esercito austro-ungarico è annientato”. Qualche anno dopo, nel 1922, la data fu dichiarata Festa nazionale, Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze armate.

Qui riprodotta la copertina del “Domenica del Corriere”. Un impetuoso alpino pianta il Tricolore sulla Vetta d’Italia.

Son già trascorsi 104 anni dalla fine della Prima guerra mondiale. La Vittoria e l’epopea di Vittorio Veneto delle Armi Italiane costituisce la prima grande prova di un popolo unito. Il 4 novembre del 1918 l’Italia completava la sua unificazione, integrando nei suoi confini terre irredenti che anelavano il congiungimento con la Madrepatria. In quell’estrema prova storica, il Corpo degli Alpini fu grande protagonista. Letteralmente aggrappati alla roccia, lungo gallerie e camminamenti, questi figli della montagna contesero al nemico ogni vetta, contribuendo a sostenere il fronte, e contenere l’urto, difendendo passi e cime strategiche, permettendo al grosso dell’Esercito Italiano di resistere, organizzarsi ed infine sferrare l’attacco finale che vide Arditi e Fanti travolgere imprendibili trincee e ai bersaglieri di entrare a Trento e Trieste. Il prezzo pagato dall’Armata Italiana fu altissimo, il sacrificio di sangue fu ingente: settecentomila caduti, un milione di feriti e quattrocentomila mutilati.

Questo l’olocausto offerto sulle vette d’Italia: dal Carso al Grappa e al Pasubio, sugli altipiani di Asiago, sull’Ortigara, sulle rive dell’Isonzo e del sacro Piave. Oggi gli ex militari Alpini hanno l’onore di esibire il loro leggendario cappello, non dimentichi però che, a fianco alla loro penna nera, idealmente campeggiano tante penne mozze, di cui trasmettono il ricordo e i valori. L’Alpino ha sempre rappresentato in pace e in guerra: dedizione, dovere e tenacia; valori che contraddistinguono l’indole della nostra gente! La loro presenza e il senso del loro impegno è quello di tramandare questi valori. Ex Alpini, simpatizzanti, gli anni passano e i ranghi si assottigliano, ma chi resta non molla! Vuol dire che serrerete i vostri ranghi attorno al vostro labaro, continuando il vostro cammino imperturbati e con la fede di sempre…. Siate sicuri, voi costituite il nostro fiore all’occhiello. Avanti veci! Mai daur, Mai indrio, Jemo nnanzi!!

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