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Dalla tripartizione sociale e dalla spiritualità del Ver sacrum (la Primavera sacra) nacquero i popoli italici

Prima parte

 

Diverse immagini che riassumono una tradizione nella storia: il Ver Sacrum Sannitico. Nella prima un magnifico bassorilievo antico che illustra la consacrazione del Bue totemico; nella seconda e terza immagine la storica cerimonia rievocativa annuale del Ver Sacrum a Boiano. Nella quarta immagine il labaro comunale della cittadina molisana di Boiano con il fatidico Bue. Nella quinta immagine i lupi irpini ad Avella, provincia di Avellino.

La protostoria e la storia d’Italia è fortemente caratterizzata da eventi realmente accaduti e da un pathos mitologico e folcloristico composto dall’incontro delle religioni e delle credenze dei popoli che per secoli si sono succeduti sulla Penisola. La chiave che conduce ad una stessa matrice i tanti rituali, simboli e tradizioni espressi da questi popoli, in apparenza dissimili tra loro, ci è fornita dall’eminente linguista e antropologo, Georges Dumezil (1898 –1986). Infatti il grande erudito, attraverso certosini e profondi studi linguistici e meticolose analisi di religioni e mitologie comparate, ha dimostrato che l’origine delle lingue europee, dell’India vedica e della Persia antica, son tutte derivanti da un’unica, antica lingua madre, il Sanskrito, la lingua parlata dai famosi Indoeuropei o Aryani; per questa ragione si parla di popoli, lingue e civiltà indoeuropea. Secondo il Dumezil, questo popolo di Re Pastori, nel corso delle loro secolari migrazioni, pur sviluppando parlate diverse, conservarono la radice del loro idioma, risalente al Sanskrito; fu inevitabile che, assieme alla lingua, essi conservarono e tramandarono anche principi religiosi e organizzazioni ancestrali. Il Dumezil è arrivato a spiegare il tipo di civiltà di questi popoli attraverso la teoria della Trifunzionalità così ben esposta nel suo pregiato: “L’ideologie tripartite des Indo-Ruropéens”, ove l’Autore mostra che gli Indo-Europei occidentali e Indo-Iraniani erano organizzati da una stessa struttura tripartita. Ossia: una società strutturata dal potere religioso, guerriero e contadino. Per l’Autore la “tripartizione” è tipica dei popoli Indo-Europei i quali, insieme ai loro idiomi, risalgono alla stessa origine. Nel caso specifico dei popoli italici, prendiamo ad esempio il rituale Osco-Sannitico del Ver Sacrum, affiancato all’origine della fondazione di Roma. In apparenza i due popoli (romani e osco-sabelli) non sembrano avere niente in comune, anzi, i due erano antagonisti e acerrimi nemici. Ma se le vicende sull’origine di Roma vengono interpretate in chiave Dumeziliana, si arriva ad una matrice spirituale comune: la Partenza di Romolo e Remo da Albalonga celebra una partenza dal ceppo natale alla ricerca di un luogo prestabilito dal fato ove fondare una nuova città. Proprio come nel caso del Ver Sacrum (La Primavera Sacra) dei popoli osco-sabelli. Tale ricorrenza celebrava un rituale arcaico, praticato dai diversi popoli dell’Italia antica, il cui fine era la fondazione di nuove colonie. Presso i popoli osco-sabelli, i nati durante questo periodo (i sacrati al dio Marte) di ogni specie animale, assieme a fanciulle e giovani guerrieri, seguendo gli auspici dei riti sacri, celebravano il Ver Sacrum, allontanandosi dal ceppo originario alla ricerca di nuove terre da colonizzare. Le migrazioni erano guidate da una figura totemica: si interpretavano movimenti e comportamenti di un animale-guida, affinché potesse dare preziose indicazioni sulla direzione del viaggio. Con questo voto della Primavera Sacra, nacquero varie Toutas (agglomerati) sannitiche, diventate poi le varie popolazioni italiche, come gli Ausoni, i Pentri, gli Aurunci, i Piceni, i Lucani, gli Irpini, i Bruzi, gli Equi, i Volsci, gli Apuli, i Sidicini, i Leborini, ecc. Tutti costituivano ramificazioni che risalivano agli Osco-Sabini, conosciuti anche come Safini-Sabelli, o Sanniti, i quali confinavano con gli Umbri-Oschi, che non erano etruschi, ma del ceppo Indo-Europeo sabellico (perciò si parla di lingua Osco/Sabellica, matrice del protolatino). I Sanniti furono i primi ad inviare diverse migrazioni verso sud-est, contribuendo così a popolare l’intero dorsale appenninico, adriatico soprattutto. Questi ultimi occuparono inizialmente zone comprese tra l’Abruzzo e il Molise: la Val di Sangro e la valle del Trigno in particolare, l’Altoannio, Altosangro, Altomolise, Altovastese ed infine Bojano, nome derivatogli dal toro totemico Frentano. Un’altra popolazione che discende dai Sabini sono i Piceni (Ascoli Piceno), che ebbero come totem il picchio verde, sacro al Dio che fu poi identificato dai Romani come Marte. Partirono precisamente dalla Sabina per poi popolare tutto il territorio compreso tra il fiume Salino ed il fiume Foglia, riuscendo a dare una unità etnica all’attuale regione delle Marche. Ecco perché tale regione, ancora oggi, ha come stemma proprio il picchio verde. Particolare fu la migrazione degli Irpini (popolo del lupo, da Hyrpus, lupo in lingua osca), il cui animale totemico fu appunto un Lupo. Dall’Irpinia (attuale provincia di Avellino), gli Irpini si spinsero più a sud, questa volta guidati da un simbolo solare, la Luce, quindi i Lucani, popolo della luce, e i Bruzi, guidati da un vitello (Brutium, l’attuale Calabria). Tutto questo avveniva durante la celebrazione annuale del periodo vernale, ossia: il Ver Sacrum dei popoli italici. Ritorniamo alla leggendaria fondazione di Roma, ove ritroviamo un rituale simile. Qui non è un figlio cadetto che con i suoi compagni lascia Albalonga, ma due gemelli, Romolo e Remo, che, designati dal Fato, partono sulle tracce di un animale totemico, una Lupa (simbolo di Marte). Lupercale fu chiamata la grotta che accolse i due gemelli, il cui nume tutelare era ancora il dio Marte come nel Ver Sacrum Osco-Sabello. Alla Lupa fu assimilata anche Acca Laurenza, la madre adottiva, moglie del pastore Faustulo. Anni dopo, al fine di decidere chi dovesse dare il nome all’Urbe, i due gemelli ricorsero ancora al responso degli Dei, ricorrendo a una figura totemica, ossia: al numero di avvoltoi avvistati. Concludo con un’osservazione. L’agnello al forno, tipico piatto pasquale fatto risalire alla tradizione ebraico-cristiana, in realtà origina dalla tradizione pagana italica precristiana e preromana. I pastori italici celebravano l’inizio del nuovo anno (a primavera), nella notte che precedeva la partenza per i pascoli estivi (Ver sacrum e transumanza). Venivano sacrificati i primi nati del gregge. Il sangue veniva impiegato a scopo apotropaico e propiziatorio, e la carne consumata in un pasto cultuale al fine di rinsaldare vincoli di famiglia, parentela e della tribù. Quindi un’usanza pagana reimpiegata dal cristianesimo.

(Continua)

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