Nel mondo rurale di Terra di lavoro, Molise, Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche, la Pantasema era una misteriosa figura che animava la fantasia e il timore della civiltà agreste. La Pantàsema, Pantàsima, Fantàsima, Mammoccia o Signoraccia, secondo le varianti regionali, era vista alta e magrissima. Questa squallida figura frequentava crucivia, dirupi, tratturi, viottoli, rovine abbandonate, ruscelli, fonti e specchi d’acqua. Sempre vestita di nero, alta, appariva spettrale al chiar di luna. Spesso la si vedeva vagare, impedendo il passaggio ai malcapitati.
In realtà, questa entità leggendaria costituiva quel che rimaneva nella memoria collettiva del lontano ricordo di un’antica figura, misto di forme larvali o simbolo della fertilità, spesso legata ai rituali di passaggio. A Cervara di Roma, fino a qualche decennio, a Ferragosto veniva celebrata la “Festa della Mammoccia, o Pupazza”. Alla fine la mammoccia o Pantàsema veniva bruciata. Si trattava di un grande pupazzo di cartapesta dalle sembianze femminili, che prima veniva fatto danzare, poi dato alle fiamme come rito propiziatorio per la fine dell’estate che si annunciava. In corrispondenza alla Pantàsema del centro-sud Italia, troviamo al nord, nelle Tre Venezie, la figura dell’Anguana, o Angana in Friuli.
Si tratta di una variante della stessa antica figura, simbolo della fertilità, anch’essa legata a riti di passaggio. Qui alcune versioni fanno delle Anguane, lo spirito di donne morte di parto, o fanciulle e bambine decedute in giovane età; oppure donne nate avvolte nel sacco amniotico (Beneandanti al femminile). Secondo alcune versioni friulane, le Angane erano donne dei boschi, dedite a culti pagani; comunque venivano considerate figure non umane, appartenenti all’universo degli spiriti.
Spesso venivano rappresentate come giovani donne attraenti e seduttrici, anche se a volte venivano presentate come esseri metà fanciulle e metà rettile o pesce. Questi esseri leggendari erano soliti di lanciare forti grida (in Veneto, fino a poco tempo fa, vi era il detto: “Sigar come n’anguana”, gridare come un’anguana). A differenza della Pantàsema più a sud, l’Anguana appariva a volte giovane e seduttrice, a volte anziana, magra e spettrale. Comunque figure lunari, esse si dileguavano prima di esser viste. Una particolarità dell’anguana, specialmente nella tradizione friulana (Angana), essa era sempre vestita di bianco, in altre invece preferiva colori brillanti e accesi, come il rosso o l’arancione; raramente appariva vestita di nero come al centro-sud.
Spesso queste creature apparivano con tratti non umani: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe squamate o una schiena “scavata” (che nascondevano con del muschio o con della corteccia). L’altro elemento comune è che le anguane vivevano presso fonti e ruscelli ed erano protettrici delle acque. Molte tradizioni riportano di come le anguane abbiano insegnato agli uomini molte attività artigianali tradizionali, quali la filatura della lana o la caseificazione. In diverse leggende sono solite terrorizzare o burlare i viaggiatori notturni, spargere discordia, in particolare tra le donne, rivelando segreti e pettegolezzi. Se insultate, erano inclini alla vendetta. Si dice anche che spesso asservivano coloro che si attardavano fuori casa la sera (soprattutto le giovani ragazze), costringendoli a riempire vanamente d’acqua cesti di vimini (incapaci di trattenere l’acqua) per tutta la vita.
Altri racconti popolari, invece, raccontano vicende di anguane male intenzionate perché ingannate dall’astuto protagonista che chiedeva loro di riempire d’acqua un cesto di vimini, trattenendole così fino al sorgere del sole. In diversi luoghi del Friuli vigeva l’usanza di lasciare davanti all’ingresso un cesto di vimini, che l’angana avrebbe invano cercato di riempire per tutta la notte, lasciando in pace gli abitanti della casa. Un’altra figura popolare leggendaria, sopratutto in Friuli, era quella del Benandante. I benandanti erano esseri nati con un segno speciale: venivano al mondo ancora avvolti nel sacco amniotico, segno ritenuto fortunato, e che ha dato origine al detto “è nato con la camicia”. Per tale motivo, le madri e le levatrici conservavano un frammento della loro “camicia” di nascita e ne ricavavano un medaglione. L’amuleto, si pensava, conferiva loro poteri magici per tutta la vita. Questa seconda pelle si credeva donasse loro capacità magiche e una protezione arcana contro le streghe e le forze invisibili della Natura. (Vedi in merito l’opera di Carlo Ginzburg, “I Benandanti”).
Talvolta i Benandanti erano contraddistinti anche da un sesto dito della mano, del piede, da un terzo capezzolo, o da voglie a forma di simboli sacri, come la croce. Di notte, mentre il loro corpo fisico restava dormiente, il loro “secondo corpo” si distaccava e compiva voli sciamanici, veri e propri viaggi astrali. I loro voli notturni erano parte essenziale di antichissimi riti propiziatori (vedi le Janare del centro sud), ritenuti essenziali dalle comunità agricole del tempo. Erano soliti radunarsi nei campi, o al limitare dei boschi, e poi andavano a scontrarsi con le streghe e i demoni maligni. La lotta era senza esclusione di colpi. Dall’esito della battaglia campale dipendevano la fertilità e il benessere per tutto l’anno: c’era in gioco la vita delle persone, perché la morte delle streghe significava la rinascita della vegetazione, mentre la vittoria degli esseri malefici (i Malandanti) avrebbe segnato l’arrivo di un tempo di carestia.
A differenza di stregoni e fattucchiere, i Benandanti eranoben visti dalla popolazione ed erano anzi tenuti in altissima considerazione dalla società contadina, che li trattava con onore e rispetto. Da loro dipendevano l’abbondanza o la scarsità del raccolto ed erano considerati veri e propri eroi del loro tempo. (Segue)