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Cristoforo Colombo e i grandi esploratori Italiani

Il Rinascimento ha lasciato un’eredità straordinaria a prova inconfutabile del Genio Italiano.

 

I quadri e gli affreschi, la Basilica di San Pietro, il palazzo dei Dogi a Venezia, il Tempio Malatestiano a Rimini, le ville del Palladio a Vicenza e Padova, la cattedrale di Firenze, le composizioni di Claudio Monteverdi, iniziatore dell’opera, sono ancora oggi oggetto di meraviglia e venerazione. Uno spirito creativo pervase l’Italia del ‘400 e del ‘500. E tra le attività elencate non poteva mancare lo spirito di avventura degli esploratori Italiani.

Il 1492 fu anno importante che segnò la “scoperta” del nuovo mondo! Cristoforo Colombo, genovese, è un personaggio molto controverso. I Vichinghi erano già arrivati a Terra Nuova, ma vi soggiornarono brevemente, il viaggio di Colombo ha avuto invece, ripercussioni epiche. Viaggiò per tutto il Mediterraneo, poi raggiunse Madeira e il circolo polare artico; fu assalito da pirati che affondarono il veliero su cui era imbarcato al largo delle coste del Portogallo. Si rifugiò a Lisbona dove cominciò a studiare per superare il suo analfabetismo e apprese le arti che lo avrebbero fatto diventare il grande esploratore che cambiò il corso della storia. Le letture di “Imago Mundis”, di Pierre d’Ailly, e “I viaggi di Marco Polo” lo influenzarono fino al punto di credere che navigando verso l’Ovest avrebbe trovato le Indie. Non riuscì a convincere João II, re del Portogallo, né Henry VII re d’Inghilterra, né i monarchi spagnoli, che non credevano, giustamente, che avrebbe potuto raggiungere il Cathay e Cipangu (Giappone), in quella direzione. Nessuno immaginava che prima di arrivare alla destinazione agognata avrebbe incontrato due enormi continenti. Fu la regina Isabella a finanziare, finalmente, la spedizione per contrapporsi all’espansione del Portogallo, che tentava di raggiungere le Indie, alla ricerca di oro e spezie, circumnavigando l’Africa.

 

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Con tre caravelle, la Niña, la Pinta e la Santa Maria, il Generale Colombo, esperto navigatore, intraprese il viaggio andando verso Sud, evitando così il tratto dell’Atlantico famoso per le tempeste che avevano fatto affondare le navi che vi si erano avventurate.  Il 13 ottobre 1.492, dopo tre settimane di navigazione, i marinai urlarono il celebre “Terra, Terra”; erano arrivati nell’isola che Colombo chiamò Isabella in onore della regina; probabilmente era San Salvador, nei Caraibi. Si recò a Cuba e poi a Hispaniola, dove trovò abbastanza oro che gli permise di tornare con la Niña e la Pinta cariche di schiavi, oro, piante esotiche e purtroppo anche il batterio della sifilide. Il successo fu coronato dal riconoscimento di Ferdinando re di Spagna che lo nominò “Ammiraglio dell’Oceano”. Nei viaggi seguenti Colombo scoprì la differenza tra il Nord magnetico, in Groenlandia, e quello vero, nell’Artico. Intanto i suoi due fratelli, che aveva lasciato a governare l’isola di Hispaniola, avevano esasperato i nativi con la ricerca dell’oro e non riuscivano a frenare la rivolta. Fu un disastro e il nuovo amministratore, Francisco de Bobadilla, riportò in manette i tre. Fece una quarta traversata e al ritorno cercò di ottenere il riconoscimento per tutte le conquiste fatte per i sovrani di Spagna, ma gli fu negato il dovuto e morì, forse di crepacuore, a Valladolid il 20 maggio del 1,506.

 

Nel 1,496 Henry VII, re d’Inghilterra confidò ad un altro grande navigatore italiano, Giovanni Caboto, il compito di raggiungere nuovi territori. Fu la conquista del Labrador a coronare il suo successo.

 

Amerigo Vespucci, cui si deve la più accurata misura della circonferenza della terra, raggiunse il Brasile per conto dei portoghesi e si avventurò fino alla Patagonia.

Giovanni da Verrazano arrivò nella la Carolina del Nord e la annesse per conto del re Francese Francesco I nel 1,524.

 

Le scoperte delle nuove terre hanno suscitato polemiche a causa del trattamento delle popolazioni che le abitavano, ma questo non è il luogo per parlarne. Possiamo solo dire che è stato ancora una volta il Genio Italiano a spingere l’umanità verso una nuova conoscenza del mondo in cui viviamo.

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