Quantità limitate e quotazioni in crescita
di Alessandra Cori
Vola verso l’alto il prezzo dell’olio d’oliva. Non solo nell’ultimo anno in Italia è aumentato del 37%, il secondo maggior rincaro registrato nei carrelli della spesa dopo lo zucchero, ma anche le prospettive non sono rosee. Infatti, il prezzo non calerà, secondo le previsioni, almeno per i prossimi due anni. L’inflazione non è l’unico motivo. Il problema, secondo gli esperti, sono le scorte, se è vero che da una stima fatta dai produttori, per ricapitalizzare i magazzini ci vorranno almeno due anni, ammesso e non concesso che ci possano essere due anni altamente produttivi.
L’anno 2022-2023 si è chiuso con un calo della produzione in Italia del 27%, e soprattutto con un tracollo del 56% della Spagna, che è il primo produttore mondiale. La Spagna ha dato fondo a tutto il magazzino disponibile e questo ha mandato i prezzi alle stelle. Nelle annate tradizionali l’olio spagnolo si trovava tranquillamente a 5 euro al chilo, a volte anche a 3 euro. Ora non c’è quasi più differenza con quello di produzione italiana, le cui quotazioni si aggirano tutte tra gli 8,70 e i 9,50 euro al chilo. Basti pensare che a fine agosto, nei supermercati spagnoli un litro di extravergine era sugli scaffali a 10 euro al litro. Dunque, se la media dei rincari dell’olio spagnolo è stata del 38%, nel caso dell’extravergine l’aumento in un anno ha superato il 227%.
La campagna spagnola 2022-2023 è stata quindi da dimenticare a causa dell’andamento climatico anomalo e i produttori iberici hanno messo le mani avanti.
Inoltre, la forte siccità che ha colpito la penisola iberica questa estate non fa presagire nulla di buono nemmeno per la raccolta che si apre in autunno. Dalla Spagna, dunque, niente scorte.
In Italia, l’Umbria ha già fatto sapere che l’annata 2023 si avvia a subire un calo di oltre il 50% a causa di una serie di eventi climatici avversi, dalla siccità invernale alle gelate tardive, fino alle piogge incessanti primaverili, che hanno inciso sulle piante e sui frutti
creando grandi problemi soprattutto nel passaggio dal fiore al frutto. In Toscana, invece, le prime stime dei produttori ipotizzano un calo più contenuto, tra il 10 e il 20%.
Prospettive più chiare si avranno solo a fine raccolto. In linea di massima per quanto riguarda la campagna olivicola, alle porte, in tutto il Centro Italia, si attende un calo del 50%, mentre al Sud la produzione scenderà del 10% rispetto alle annate migliori.
Anche tra gli industriali della trasformazione l’ottimismo è poco. Rispetto alla tragica campagna 2022-2023 ci si aspetta un miglioramento, ma anche quella in corso non sarà un’annata da ricordare. L’Italia aveva chiuso l’ultima campagna a 240mila tonnellate di olio, rispetto a un potenziale nazionale di 300mila, e quest’anno potrebbe puntare sulle 270mila tonnellate. Un’annata media, quindi, con una produzione del 50-60% rispetto a una annata di carica. Molto dipenderà poi da quello che succederà nei prossimi giorni, se ci saranno o no quegli eventi climatici estremi a cui il nostro Paese ci ha ormai abituati negli ultimi anni. È anche per questo che nessuno vuole sbilanciarsi in previsioni più precise.
Se Spagna e Italia, rispettivamente primo e secondo produttore mondiale, non brillano, gli altri principali concorrenti mediterranei non stanno meglio. Raccolti sotto la media sono attesi anche in Tunisia e in Turchia. E questo ancora una volta non aiuta a portare i prezzi verso il basso. La recente scelta di Ankara di bloccare le esportazioni di olio per garantire il mercato interno, semmai, non farà che contribuire ulteriormente alla corsa delle quotazioni sui mercati del resto del mondo.
Per il carrello della spesa, dunque, nessuna prospettiva rosea. Per la prima volta, da trent’anni a questa parte, l’olio smetterà di essere una commodity e diventerà un prodotto premium. Quanto ai rincari, se guardiamo solo alle bottiglie di fascia alta, l’incidenza dell’aumento sarà del 20%, mentre sui prodotti primo prezzo l’incidenza sarà di oltre il 130%.
In una situazione così complessa, fa notare l’industria olearia, appare controproducente spingere i consumi con intense attività promozionali, come ad esempio le vendite sottocosto, perché ciò potrebbe provocare un esaurimento anticipato degli scarsi volumi di olio a disposizione.