(Adnkronos) – Il timo, ghiandola chiave del sistema immunitario, protegge i polmoni dai danni del Covid a lungo termine. A svelarne l”effetto-scudo’ è uno studio italiano condotto da un gruppo di ricercatori del Centro diagnostico italiano (Cdi) e dell’ospedale Fatebenefratelli dell’Asst Fbf Sacco di Milano, pubblicato su ‘Applied Sciences’.
Il timo – spiegano dal Cdi – è una ghiandola situata nel torace in sede retrosternale, che svolge una funzione fondamentale nella maturazione dei linfociti T del sistema immunitario. Dopo la pubertà normalmente le sue dimensioni e la sua attività si riducono e il timo viene progressivamente sostituito da tessuto adiposo, una trasformazione più evidente nel sesso femminile. Questa riduzione dimensionale rende il timo meno distinguibile nelle immagini di tomografia computerizzata (Tc). Il timo, tuttavia, può ingrossarsi nuovamente e riattivarsi in risposta a malattie autoimmuni o a un’infezione virale come quella da Sars-CoV-2, per aumentare la produzione di linfociti T e potenziare le difese immunitarie. Ricerche precedenti avevano già indicato che il timo riattivato o ingrossato è associato a una prognosi migliore nelle fasi acute della malattia da Sars-CoV-2, ma il nuovo lavoro suggerisce “un ruolo protettivo della ghiandola anche su più lungo periodo e apre a nuove prospettive di ricerca sulla sua funzione nel contrasto delle infezioni virali”.
Gli scienziati hanno osservato che “un timo ben visibile nelle immagini di tomografia computerizzata raccolte dopo 3 mesi dalle dimissioni ospedaliere per Covid-19 si accompagna a un migliore stato di salute dei polmoni dei pazienti in precedenza ricoverati. In particolare, nei soggetti che all’indagine radiologica mostravano un timo non ancora sostituto da grasso si osservavano zero o lievi alterazioni del tessuto polmonare. Viceversa, i soggetti in cui il timo era progressivamente sostituito da grasso, e pertanto sempre meno distinguibile nelle immagini radiologiche, mostravano alterazioni da moderate a gravi del tessuto polmonare”.
“Questo lavoro di ricerca – racconta Deborah Fazzini, direttore Up Imaging diagnostico e radiochirurgia stereotassica, Cdi – è nato da un’intuizione avuta durante l’osservazione radiologica: ho notato frequenti e insolite attivazioni del timo in questo tipo di pazienti, specie nelle donne, in cui la ghiandola è generalmente meno visibile. Dove il timo era evidente erano presenti meno sequele polmonari dopo l’infezione da Covid-19”.
“Per validare questa ipotesi – riferisce la specialista – abbiamo analizzato l’aspetto del timo attraverso la Tc del torace in 102 pazienti adulti precedentemente ospedalizzati per Covid-19, seguiti con una Tc di controllo a 3 mesi dalla dimissione. I risultati ottenuti supportano l’ipotesi che la riattivazione del timo svolga un ruolo protettivo importante, offrendo nuove prospettive sulla dinamica immunitaria legata al coronavirus e indicando il timo come un fattore chiave nella resilienza alle complicazioni polmonari post-infezione”.