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Covid, Rappuoli: “Ora c’è bisogno di vaccini diversi”

(Adnkronos) – I vaccini anti-Covid “sono stati un miracolo di velocità, tecnologia, investimento, collaborazione, e ci hanno permesso di uscire più rapidamente dalla pandemia”, dall’emergenza. “Sono infatti riusciti a proteggere dalla malattia grave e quindi hanno abbattuto la mortalità. Adesso portiamo poco le mascherine, andiamo in giro e tutte le attività sono riprese grazie a questo. Ma intanto il virus è cambiato: oggi abbiamo Omicron, e anche di sottotipi di Omicron ce ne sono un’infinità. I vaccini che abbiamo continuano a proteggere dalla malattia grave, ma non proteggono” a lungo e bene “dall’infezione. Quindi la ricerca sta spingendo in questa direzione: i vaccini che abbiamo vanno bene, ma non sono quelli di cui abbiamo bisogno oggi”. Che tipo di vaccini servono adesso lo spiega all’Adnkronos Salute Rino Rappuoli, direttore scientifico della Fondazione Biotecnopolo di Siena, progetto strategico nazionale che fra le sue missioni ha anche quella del contrasto alle pandemie. 

Per lo scienziato, super esperto italiano proprio di vaccini e anticorpi, sostanzialmente due sono gli obiettivi a cui puntare: “Oggi avremmo bisogno di un vaccino che sappia indurre un’immunità contro qualsiasi variante”, uno ‘scudo pan-varianti’. E “avremmo bisogno di vaccini che proteggono anche dall’infezione”. Solo che “questi non li sappiamo ancora fare, la tecnologia non c’è. Ci sono dei tentativi, però – sottolinea – Per proteggere meglio dalle infezioni, infatti, bisogna fare dei vaccini mucosali in cui gli anticorpi, invece di indurli tramite iniezione e averne tanti nel sangue, dovremmo averli a livello della mucosa nasale e della gola. E nei polmoni. Per farlo ci vogliono vaccini che inducono l’immunità e la produzione degli anticorpi nelle mucose. Un modo sono i vaccini intranasali. Quindi c’è una spinta a cercare di sviluppare questi tipi di vaccini. Ci sono dei finanziamenti e tentativi di fare vaccini intrasali”.  

A che punto siamo? “Un tentativo fatto in Inghilterra non ha dato grandi risultati”, ricorda Rappuoli, facendo riferimento a quello di AstraZeneca. “Non mi sorprende questa situazione – ammette – perché anche io, che sviluppato vaccini per 40 anni, ci ho provato diverse volte e non è così semplice. In India credo che un vaccino intranasale sia stato registrato”, così come in Cina, “ma francamente non so se è stato registrato perché ha dato risultati migliori, o se ci si è accontentati di standard più bassi”.  

L’altra sfida nel capitolo vaccini, continua l’esperto, è quella di avere prodotti “che non siano così sensibili alle varianti e che non dobbiamo cambiare continuamente. Anche questa non è una cosa semplice, ma ci sono diversi gruppi, incluso il nostro”, presso Toscana Life Sciences, “che cominciano a lavorare su questo. In questo momento noi aspettiamo la variante e poi facciamo il vaccino. L’idea è, invece, di non stare sempre a rincorrere il virus e l’ultima variante, ma di fare un passo avanti, essere più veloci”. Si può fare un vaccino ‘pan-varianti’ “cercando di capire quali sono le parti che il virus non può cambiare. Con le tecnologie che abbiamo oggi almeno si può pensare di farlo, si possono fare esperimenti in questa direzione”, precisa lo scienziato.  

Per la nuova generazione di vaccini la tecnologia su cui puntare è sempre mRna? “Le tecnologie su cui io personalmente punto sono tutte – dice Rappuoli – Sceglieremo poi quelle che funzionano meglio. L’mRna è una grandissima scoperta e ci ha permesso di andare veloci, il suo miracolo è la velocità. La differenza tra questo e tutti gli altri vaccini e che l’mRna è più veloce. Non è che ci ha permesso di fare qualcosa che gli altri vaccini non riuscivano a fare. Quindi se c’è bisogno di essere veloci, si sceglie sempre l’mRna; se c’è bisogno di fare un vaccino che funzioni per le nuove esigenze che abbiamo, allora io voglio provare anche vaccini più classici con adiuvanti, con altri modi di svilupparli, magari con i vettori virali dati a livello intranasale – prospetta – Ci sono tante possibili” vie da esplorare.  

Tornando in particolare ai vaccini mucosali, Rappuoli illustra perché è importante impegnarsi in questa sfida. “Sars-CoV-2 continua a infettare perché, se facciamo conto di avere nel sangue un livello 100 di anticorpi, che protegge benissimo e fa sì che il virus non possa andare nei polmoni e da altre parti, invece nel naso e nella gola, proprio nelle vie superiori dove il virus si moltiplica, lì abbiamo circa l’1% degli anticorpi che abbiamo nel sangue e quindi proteggere dall’infezione senza vaccini mucosali che inducono anticorpi a quel livello è molto difficile. Il virus continua a scappare e a moltiplicarsi. E’ una corsa: noi facciamo una cosa e il virus ne fa un’altra. Noi facciamo gli anticorpi contro la nuova variante e Sars-CoV-2 ne deve fare un’altra. Altrimenti muore”.  

Uno sforzo del settore pubblico 

“Sarebbe dunque molto importante avere vaccini mucosali che proteggono dall’infezione” da Sars-CoV-2. Questo tipo di prodotti, dice Rappuoli, “sono importanti non solo per Covid, ma anche per l’influenza, per il virus respiratorio sinciziale (Rsv) e così via. In questo momento bisognerebbe fare un grosso investimento da parte del settore pubblico per cercare una volta per tutte di sviluppare le tecnologie per realizzarli”.  

“Ho partecipato a dei meeting in cui si è parlato” della sfida dei vaccini spray da somministrare per naso o per bocca per creare una barriera di protezione dal contagio, spiega lo scienziato. Su questo fronte ci sono diverse iniziative, in particolare di aziende più piccole. “Come si è evidenziato in questi meeting, le aziende ci provano” a svilupparli. “Ma siccome non funzionano al primo tentativo, mentre quelli intramuscolari sì, alla fine le company preferiscono produrre quelli. E quindi le mie raccomandazioni e considerazioni, in questi incontri a cui hanno partecipato anche governi e altri attori, sono state che, se non ci investe il settore pubblico – avverte Rappuoli – è molto improbabile che il settore privato riesca a portare avanti dei vaccini che ancora hanno bisogno di ricerca di base”. 

Si può sperare in un debutto in tempi brevi dei vaccini mucosali? “Miracoli a breve termine non me ne aspetto – risponde – però c’è una spinta per investire in questa direzione”. Quanto sia importante continuare a lavorare su vaccini Covid sempre più performanti contro il contagio è chiaro, rimarca Rappuoli: “Oggi, quando si fa la vaccinazione, si è più protetti per qualche mese, da 3 a 5 a seconda delle persone. Ma poi gli anticorpi vanno giù e la gente si reinfetta. Questo non è un problema per una persona giovane e sana, per la quale Covid può essere ormai più un mal di gola e una febbriciattola. Ma è ancora un rischio serio per le persone fragili, gli ultraottantenni e tutti quelli che hanno malattie croniche e altre patologie e che non si possono permettere neanche un’infezione modesta”. 

Da qui la necessità di investire per il futuro. “Abbiamo fatto vaccini e monoclonali contro il Covid così velocemente grazie agli investimenti che erano stati fatti su Ebola, sull’influenza che avevano essenzialmente fatto avanzare la scienza – riflette l’esperto – Ora la cosa che il Covid ha fatto è stato far capire quanto sia pericoloso non essere pronti a una pandemia di questo tipo. Non solo per i milioni di morti e i quasi 700 milioni di infettati che sono stati registrati nel mondo. Anche l’economia ha perso cifre nell’ordine dei trilioni, pari a una volta e mezzo il Pil annuale degli Stati Uniti. Quindi l’impatto è enorme. La pandemia ci ha fatto rendere conto che dobbiamo investire per prevenire”.  

Ma ce lo ricorderemo? La ricerca per il futuro è adeguatamente finanziata? “Se mi fosse stato chiesto un anno fa, avrei detto di sì – replica Rappuoli – Adesso però l’attenzione si è abbassata molto, la guerra”, quindi un’altra emergenza, “ha distratto tanto. Non è come un anno fa. Ed è molto facile dimenticarsi di quello che abbiamo passato. Ma spero che la gente, e chi deve investire, continui a ricordarsene, perché sennò la prossima volta non saremo pronti, come non eravamo pronti questa volta”. 

Kraken e le prossime varianti 

La variante XBB.1.5 di Sars-CoV-2, battezzata Kraken sui social, e le altre nate nella famiglia Omicron e oggi in ascesa in diverse parti del mondo, possono cambiare lo scenario della pandemia? “Credo che nel mondo delle persone vaccinate ormai, qualsiasi variante arrivi, dalla malattia grave siamo protetti. Quindi stiamo tranquilli, anche se non sappiamo il nome della prossima variante non importa”, sottolinea Rappuoli.  

“Dalla malattia grave siamo protetti e da questo punto di vista io sono molto tranquillo – rassicura lo scienziato – Dalle infezioni no, non siamo ancora protetti e abbiamo bisogno di vaccini diversi”. Kraken sembra caratterizzata da una forte immunoevasività, ancora maggiore rispetto a quella delle versioni precedenti del virus, già note per gli alti livelli di fuga immunitaria. Per Rappuoli è nella forza delle cose: “In questo momento è una corsa tra il nostro sistema immune e il virus – analizza – Noi facciamo gli anticorpi contro l’ultima variante e il virus per sopravvivere deve scappare dall’immunità. Tanto per dare un’idea, per la variante Delta di Sars-CoV-2 ci volevano circa 15 volte gli anticorpi che erano necessari per proteggerci dal virus Wuhan”, quello originale. “Quando è arrivata Omicron ce ne volevano 42” volte tanti, “e adesso contro le varianti nuove ce ne vogliono 90, perché questo virus scappa”.  

Si può andare avanti all’infinito? “Sì, se si pensa che è quello che fa l’influenza. E infatti tutti gli anni abbiamo bisogno di un vaccino nuovo perché il virus è cambiato. Questo virus – conclude il super esperto italiano di vaccini e anticorpi – sta facendo lo stesso”. “E’ chiaro che Sars-CoV-2 ormai c’è su questo pianeta e non ce ne libereremo”. Vista la situazione, un vaccino universale è una prospettiva concreta su cui insistere? Per Rappuoli “dipende da quello che si intende. Perché se si parla di fare un vaccino contro tutti i coronavirus quello oggi non è possibile, ma dei vaccini che siano resistenti alla maggior parte delle varianti di Sars-CoV-2 è qualcosa di possibile”, riflette. 

Di vaccini combinati, spiega, “credo che ce ne saranno. E’ un po’ presto per dire come. Diciamo che è molto probabile che almeno la gente fragile finiremo per vaccinarla una volta all’anno, o qualcosa del genere. Se questo succede, è possibile che il vaccino anti-Covid venga combinato con altri vaccini respiratori: potrebbe essere combinato con l’anti-influenza, o con l’anti-Rsv (virus respiratorio sinciziale), che quest’anno ci aspetta venga registrato. Quindi ci sono possibilità di avere vaccini che con una iniezione ci riescono a proteggere da tre o quattro malattie. I vaccini potrebbero contenere più di un vaccino contro il virus Sars-CoV-2, per esempio per due varianti. Nei prossimi anni, a seconda di come funzionano i vaccini e di come evolve la situazione, questi sono gli scenari”.  

“L’impatto della pandemia – ricorda lo scienziato – è stato enorme, con milioni di morti e quasi 700 milioni di infettati che sono stati registrati nel mondo. Ma poi di fatto probabilmente sono più di 5 miliardi le persone infettate”, analizza. Per questo, evidenzia Rappuoli, la ricerca deve essere sostenuta e andare avanti.  

I monoclonali del futuro? Un passo avanti al virus 

Per rendere una volta per tutte il Covid un’infezione gestibile come altre, e meno letale, l’arma sono “anticorpi monoclonali e vaccini. E ovviamente anche i farmaci. Individualmente ognuna di queste cose non è sufficiente. Abbiamo bisogno di una batteria di strumenti. Il problema dei monoclonali, però, è che le varianti li hanno fatti fuori tutti”. Serve una nuova generazione, più “accessibile” e “un passo avanti al virus”, dice lo scienziato.  

“Sicuramente abbiamo bisogno di vaccini, sicuramente abbiamo bisogno di monoclonali. E se abbiamo anche i farmaci va bene. Oggi c’è quello di Pfizer”, l’antivirale Paxlovid, “che funziona e se ne stanno sviluppando degli altri. I monoclonali possono proteggere una persona fragile diversi mesi”. Ma, di variante in variante, li abbiamo pian piano persi tutti, ricorda l’esperto. “Quello che avevamo noi”, sviluppato nel Mad (Monoclonal Antibody Discovery) Lab di Toscana Life Sciences, “ha resistito fino alla Delta, poi è caduto con Omicron. Quelli di Gsk e della Lilly hanno retto un pochino di più. Però adesso hanno chiuso tutti. Quindi l’approccio da adottare è lo stesso che serve per i vaccini: finora abbiamo fatto monoclonali andando dietro alle nuove varianti e il virus era sempre un passo avanti a noi. Quello che stiamo facendo noi e anche altri è di cercare dei monoclonali che siano un passo avanti al virus, capaci di neutralizzare non solo le varianti di adesso, ma anche quelle del futuro”.  

Ma non basta: servono anche altre caratteristiche, altrettanto importanti per Rappuoli: “Che questi monoclonali di nuova generazione non siano da somministrare in ospedale, perché complica tantissimo la vita al sistema sanitario, e che abbiano un prezzo accessibile a tutti, non i prezzi esorbitanti che ci sono stati finora. Per far sì che sia possibile darli non solo ai Paesi ricchi, ma anche a quelli in via di sviluppo. Quindi penso che la prossima generazione debba essere fatta di monoclonali potenti, dati per iniezione, quindi somministrabili anche da un infermiere” al domicilio, “resistenti alle varianti e accessibili a tutti”. Un’utopia? “No, questa non è un’utopia – conclude lo scienziato – Se mi si chiedesse se il vaccino universale lo faremo, risponderei che non lo so. Mentre questi aspetti dei monoclonali tecnicamente si possono risolvere”.  

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