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Con Macron vince anche la Merkel

IL PUNTO di Vittorio Giordano

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Dopo l’exploit di Donald Trump negli Usa, in tanti temevano una replica in salsa francese, con Marine Le Pen in grado di fare le scarpe ad Emmanuel Macron, ultimo superstite del ‘fronte istituzionale’ dopo la ‘debacle’ dei due partiti tradizionali: il partito Socialista e quello Repubblicano. Un terremoto che avrebbe sconvolto l’Unione Europea dalle fondamenta, decretandone, di fatto, il ‘suicidio assistito’, soprattutto dopo la ferita mai rimarginata della Brexit, la vittoria ingombrante di Trump e l’ascesa dei movimenti euro-scettici nazionalisti. Sì, perché Macron, 39 anni, sarà pure giovane e alle prime armi, tanto da essere ribattezzato il ‘Justin Trudeau francese’ (come il Premier canadese ha studiato dai Gesuiti e fatto Teatro), ma è pur sempre espressione dell’establishment, nonostante non abbia perso occasione per smarcarsi dal sistema. In realtà, la crociata anti-istituzionale di Macron è solo di facciata e frutto di un calcolo utilitaristico da far impallidire il‘Principe’ di Macchiavelli: è il 31 agosto 2016, infatti, quando il Ministro dell’Economia Macron lascia il governo Valls dopo due anni di lavoro sotto la presidenza di François Hollande. Da successore designato dell’ex presidente uscente, nell’aprile 2016 fonda il movimento “En Marche!”, definito dallo stesso Macron “né di destra né di sinistra”, che lo catapulta all’Eliseo. Magicamente, per il solo fatto di aver sbattuto la porta in faccia al Partito Socialista (di cui è stato un iscritto dal 2006 al 2015), diventa un ‘capo-popolo’ anti-sistema. Poco importa se ha studiato all’Ena (École national d’administration), la scuola dove passa tutta la classe dirigente francese; se ha guidato l’Economia durante i tagli di Hollande, e se è stato un alto dirigente della potente Banque Rothschild. La sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, non usa mezzi termini: “Macron è un uomo che si presenta come anti-sistema, malgrado sia l’artefice di buona parte della politica economica adottata dal Paese negli ultimi anni”. Insomma, al netto dell’abito su misura che si è ritagliato negli ultimi 12 mesi, Macron è un personaggio certamente integrato nei centri nevralgici del potere finanziario e politico della Francia. Tanto che, nel suo primo discorso alla Nazione, promette di “proteggere” e “tenere unita” la Francia, così come di “difendere il destino comune dell’Europa”, sulle note dell’Inno alla gioia, l’inno dell’Europa, davanti alla piramide del Louvre. Quale Europa? Quella a trazione tedesca, naturalmente, che il neo Presidente non perde tempo di omaggiare: la prima telefonata ufficiale è con la Cancelliera Merkel e la prima visita di Stato è già stata programmata in Germania. Tutto, fuorché un’inversione di tendenza rispetto ad una UE da svecchiare e riformare. Anzi: un inchino compiaciuto allo status quo, al netto dei proclami elettorali. Esattamento lo scenario che Marine Le Pen continuerà a combattere. La leader del Front National è tutt’altro che “morta”: ha ottenuto più di dieci milioni e mezzo di voti, accrescendo di quasi tre milioni di preferenze il bottino ottenuto al primo turno; ed ha portato al suo massimo storico il partito, che ora punta a rinnovare nel nome e nella missione per completare il processo di normalizzazione e puntare a diventare la prima forza d’opposizione. Ad un mese dalle elezioni legislative. Se è vero che il 43% di chi ha votato Macron lo ha fatto per fermare l’ascesa di Marine LePen, e se è vero che il tasso di astensione è stato il più alto rilevato dal 1969 nelle elezioni presidenziali, il nuovo inquilino dell’Eliseo sarà probabilmente costretto a scendere a compromessi (magari con gli ex compagni Socialisti) per fornare una coalizione a sostegno del suo governo. Gettando, ‘obtorto collo’, la maschera di paladino anti-sistema. E tornando alle origini della sua cavalcata. La degna ‘quadratura del cerchio’.

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