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“… Come sa di sale lo pane altrui…”. La triste odissea di chi “cambia il cielo ma non l’anima”
Siamo lontani mille miglia dal concetto di emigrazione di una volta. Semplice emigrante o profugo vittima di guerre e persecuzioni, tutti erano controllati, come gli arrivi negli Usa della prima immagine. Prima di essere accettati, erano soggetti ad un severo controllo. Nella seconda immagine: arrivi caotici e indiscriminati di barconi a Lampedusa; un vero e proprio arrembaggio senza controllo. Spessissimo queste persone, lasciate a loro stesse, saranno preda di individui senza scrupoli, il che si riverserà poi negli scompigli e violenze delle piazze d’Italia e d’Europa.

L’emigrazione, quale fenomeno sociale, ha interessato e interessa tutta l’umanità. Masse umane, nel corso degli ultimi due secoli, per varie ragioni, sono emigrate in cerca di rifugio o di una vita migliore; e il fenomeno non sembra cessare. La migrazione, oltre ad esser motivata dall’eterna ricerca di un miglioramento, spesso è costituita da fughe per sfuggire a morte e persecuzioni; come nel caso del tragico esodo delle genti giuliane che fuggirono le foibe e la persecuzione titina, abbandonando il loro mondo, le loro case, il luogo natìo, le loro città e villaggi. L’emigrante classico o profugo a cui mi riferisco è colui che parte per necessità di sopravvivenza o alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nei due casi, l’individuo è costretto ad abbandonare tutto ciò che costituiva il suo mondo; ma egli serberà gelosamente nel cuore un capitolo della sua vita che mai dimenticherà. Lo spirito che riflette l’animo di chi, per varie ragioni, ha dovuto lasciare i suoi cari, il pathos che ha determinato la sua indole, è drammaticamente riassunto dalla frase: “Ho cambiato il cielo, ma non l’anima”. Questa frase riassume l’indole dell’esule in genere, e altresì l’animo delle migliaia di emigranti italiani del passato: partirono lasciando dietro parte di loro stessi, che vivrà indelebile nella loro memoria. A questo proposito, mi preme però precisare un particolare di fondo che distingue i nostri emigranti, dalle ondate disordinate, che approdano in Italia e in Europa da un ventennio in qua. L’emigrante classico italiano, una volta giunto a destinazione, nella consapevolezza di essere un ospite, ha accettato e rispettato usi e costumi del paese ospitante, partecipando attivamente al suo progresso. Vorrei inoltre ricordare che nel passato l’emigrazione avveniva a seguito di una richiesta del paese di accoglienza a cui mancava manodopera e per incrementarne la popolazione. Il fine ultimo dell’emigrazione classica del passato era lo sviluppo della società di accoglienza, di cui traeva vantaggio chi arrivava. Inoltre, va precisato che dopo il primo conflitto mondiale, e fino a circa 40 anni fa, i candidati emigranti venivano rigidamente selezionati nel rispetto delle esigenze dei paesi accoglienti: stato di salute, fedina penale ed un garante già sul posto che prendeva in tutela per un anno il candidato appena arrivato; a quest’ultimo, comunque, non gli sarebbe stato possibile partire senza garantire una somma per pagarsi il biglietto di ritorno, nel caso fosse stato necessario. Il paese ospitante non assumeva nessuna responsabilità, per cui l’immigrato, il giorno dopo il suo arrivo, si preoccupava di trovarsi un lavoro, al fine di non essere un peso per la società e, nel contempo, sgravare la persona garante dalla responsabilità e dall’obbligo di garanzia nei suoi riguardi. Voglio ricordare alle generazioni nate in loco che, oltre ai sacrifici, i nostri nonni e padri hanno lasciato in retaggio esempi di vita onesti e dignitosi. A questo punto mi preme altresì denunciare quanto offensivo sia per noi, figli dei protagonisti dei “giorni difficili”, essere paragonati ai migranti che quotidianamente approdano sulle rive italiane. “Anche noi siamo stati emigranti”, si sente ripetere da cattedre del “politically correct”. Costoro esprimono giudizi sul soggetto, lontanissimi dallo spirito della nostra emigrazione; belano all’unisono un buonismo patetico più che stantio, ricordando alla “gente comune’’ di “quando gli emigranti eravamo noi”, riferendosi agli emigrati italiani del passato, cioè i nostri padri e nonni, paragonandoli alle ondate indiscriminate di disperati che approdano quasi quotidianamente alle nostre rive. Questo mi rivolta. È risaputo: in Italia tutto è politica, anche questo. Vi sono schieramenti politici aperti a questo dramma epocale per miseri fini elettorali! La verità è che questi veri e propri travasi odierni di masse umane, stanno scompigliando e sconvolgendo l’assetto culturale, sociale e politico europeo. Questo mio giudizio non è dovuto a mancanza di sensibilità verso quelle famiglie, quegli individui che, spinti dalla disperazione e a volte dal terrore, cercano asilo e rifugio; questi costituiscono una minoranza e vanno aiutati; il resto, invece, è abuso e opportunismo. È evidente che tutto questo è frutto premeditato di una destabilizzazione orchestrata dai mondialisti e dalla globalizzazione allo scopo di scombussolare a loro volta altri popoli e continenti, addirittura mirando ad una sostituzione etnica delle popolazioni nazionali europee, per meglio controllarle. Infine, considero che essere obbligati ad emigrare è doloroso e innaturale per tutti, perciò, se proprio si volesse porre un gesto decisivo e umanitario di solidarietà, occorrerebbe aiutare questa gente in casa propria, onde evitargli il triste destino del migrante.

(Continua)

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