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Cina, addio inglese all’università: nazionalismo allontana il gigante asiatico

(Adnkronos) –
Niente più test di inglese. E’ la decisione di una grande e nota università del nordovest della Cina. Una scelta che è piaciuta molto a giudicare dai commenti sui social del gigante asiatico. Sotto ai riflettori, anche della Cnn, è finita la Xi’an Jiaotong University (Xjtu), che ha deciso che gli studenti non dovranno più superare il test di inglese (standardizzato a livello nazionale), né qualsiasi altro esame di inglese, per potersi laureare in questo ateneo di Xi’an. 

Accade nella Cina di Xi Jinping, al potere dal 2012 (come segretario generale del Partito comunista cinese e dal 2013 come presidente), che ha spinto sul tasto del nazionalismo. La Cnn ricorda due divieti su tutti per docenti di scuole e università: niente testi occidentali, guai a parlare dei “valori occidentali”. 

Nel gigante asiatico dal 2001 è obbligatorio studiare l’inglese nelle scuole primarie e secondarie, ma da due anni le autorità hanno vietato agli istituti della primaria di Shanghai l’organizzazione di esami finali di inglese. La motivazione dichiarata è la volontà di alleggerire il carico di studi per gli alunni. 

In Cina il College English Test esiste dal 1987. Nella maggior parte delle università della Repubblica Popolare per anni è stato necessario superarlo per potersi laureare. Ma, evidenzia ancora la Cnn, negli ultimi anni gli atenei hanno iniziato ad attribuire sempre meno importanza all’inglese, spesso sostituendo il College English Test con altri esami. Fino ad arrivare alla scelta della Xjtu. 

“L’inglese è importante, ma con lo sviluppo della Cina, l’inglese non è più importante”, ha commentato su Weibo un influencer nazionalista sei milioni di follower, convinto che ora “dovrebbero essere gli stranieri a imparare il cinese”. E ha ottenuto una valanga di ‘like’ un altro commento che plaude alla decisione dell’ateneo di Xi’an. “Spero che altre università facciano lo stesso”, si legge.  

Un ‘addio’ all’inglese che contrasta con quanto accade a Taiwan, l’isola di fatto indipendente che Pechino considera una provincia “ribelle” e per la quale vuole la “riunificazione”. Qui l’obiettivo è il bilinguismo entro il 2030. 

 

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